Sfogo di un 25enne

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3 ottobre 2011

Lavoro giovanile, che problema

Lavoro giovanile, un problema infinito

Arriva un momento, nella vita, in cui inizi davvero a pensare: e ora, che si fa? E’ un momento che noi giovani cerchiamo di posticipare all’infinito, pur consapevoli che, prima o poi, toccherà affrontarlo.
E quando ci si trova davanti, faccia a faccia, ci sentiamo spesso disarmati, senza idee, magari pure un po’ sfigati.
Ma la scalogna non c’entra niente. Semplicemente cresciamo, fisicamente e – eccetto qualcuno, anzi molti – mentalmente. Non si rimane in eterno bambini, anche se lo si vorrebbe con tutte le nostre forze.
Bé, non dico proprio bambini. Diciamo adolescenti, ragazzi, teenager. Insomma, quella età dove ti senti padrone del mondo, esente da qualsiasi tipo di responsabilità.
Ti fermi un attimo e inizi a rammentare le cazzate fatte a 16 anni, le prime cotte, le prime delusioni (sempre numerose) e le prime soddisfazioni (che si contano sulle punte delle dita).
Quant’erano belli quei tempi.
Si andava al mare a giocare a racchettoni; si girava in scooter facendo gli spavaldi (personalmente pure senza casco, ma non me ne vanto). Ogni tanto, si lavorava pure, perché il lavoretto estivo ci vuole; e a settembre si tornava a scuola. Una vita ciclica, ma non per questo di routine.
Divertimento, allegria e calci negli stinchi.
Tutto in piena spregiudicatezza.
Ma quegli anni non durano in eterno.
Presto si diventa grandicelli e si fa la grande scelta: lavoro (se c’è) o università (per cercare un lavoro che non c’è). Per chi sceglie la seconda, come il sottoscritto, si può avere la fortuna di andare a studiare fuori, lontano dal tuo paese e dalla tua regione d’origine, che continui a considerare “tuoi” ma da cui non vedi l’ora di evadere.
E allora fai nuove esperienze, entri in contatto con gente di ogni tipo; con persone, in un certo senso, multietniche.
A vent’anni vedi la società con occhi diversi. O forse, semplicemente, gli occhi li apri e basta.
Cominci a comprendere che la vita non è tutta rose e fiori, anzi.
Nel frattempo, però, succede anche qualcosa di positivo: emergono in te passioni che non pensavi di possedere.
Cinema, giornalismo, politica, informazione, come nel mio caso.
Oppure musica, meccanica, matematica (perché no?), sport.
Si leggono i libri.
Sì, i libri! Quelli che somigliano a quell’insieme di pagine che, quando lo vedevi a scuola, bestemmiavi in aramaico.
E poi i giornali. “Corriere”, “Repubblica”, il mitico “Fatto” (purtroppo anche “Gazzetta”)… che, poco tempo prima, consideravi “roba da grandi”.
Ma torniamo all’università.
Prima la triennale, poi la magistrale, e ancora il master, il corso di perfezionamento…
Si potrebbe non finire mai di studiare. A me non dispiacerebbe affatto.
Ma non si può.
E qui si arriva al punto da cui è partito tutta la discussione: il lavoro, il tanto agognato mondo del lavoro.
I dubbi ti distruggono: lo troverò? Dovrò spostarmi? Quanto mi è servita sta laurea? Rifiutato perché troppo “specializzato”? Che significa? Io, calci in culo, non ne ho. Nada raccomandation. So già come finirà: comprerò un Ape Piaggio e andrò a vendere frutta e verdura per strada (lavoro dignitosissimo, tra l’altro, ma che, con due lauree in tasca, non vorresti mai fare).
Ecco, io sono arrivato in questa tremenda fase post-universitaria (sto per laurearmi) e, lo confesso, me la sto facendo sotto. Sono totalmente terrorizzato dal futuro.
Noi giovani siamo capitati nella generazione sbagliata, lo sappiamo. Un tempo, con la laurea, eri un deus ex machina. Oggi, in gran parte dei casi, ci fai lo stesso utilizzo che Bossi fa col tricolore.
Il pessimismo c’è, non si può negare. Ma so bene che c’è gente in condizioni peggiori delle mie. Eppoi, di che mi lamento: ho una famiglia presente (seppur lontana), una ragazza fantastica e ho avuto la fortuna di vivere 5 anni – sperando non siano gli ultimi – in due città stupende, come Roma e Urbino (ho degli amici, in Sicilia, che non hanno mai oltrepassato lo Stretto di Messina).
Insomma, non ho di che lamentarmi. Ad oggi.
Ma il futuro… il futuro è un’altra cosa.
E’ vero: i sogni vanno rincorsi, sempre, con determinazione.
Ma ragazzi, pagherei per potermi fare un giro con la DeLorean di Doc e Marty McFlay, per capire cosa succederà negli anni venturi.

Un commento to “Sfogo di un 25enne”

  1. Cinzia scrive:

    Per fortuna dici anche “so che c’è chi sta peggio!” meno male.
    E’ deprimente sul serio leggere il sentimento di paura in un 25 enne che ha due lauree ed è lanciatissimo verso il futuro.
    A volte guardiamo proprio il dito senza vedere la luna. Il fatto è che sembriamo tutti adagiati su quello che hanno preparato le generazioni prima della nostra/vostra (io ho 37 anni e un altro percorso di vita però ti capisco).
    Ma il sentimento giusto sarebbe quello della curiosità, l’urgenza incontenibile di mettersi alla prova, sbagliando sorbendosi mille e una critica, per crescere per capire di cosa siamo veramente capaci, perchè studiare non prepara alla competitività, quella che serve quando bisogna reinventarsi tutto a cominciare dalla comunicazione che si ha on line, quella che forse da domani non avremo neanche più grazie alla nostra bella politica e politicanti.

    Voi (tu, il gruppo che hai frequentato per gli studi, le persone che t’introducono in certi ambienti giornalistici o altro) dovreste associarvi, unire le tante voci e i diversissimi pensiri per concretizzare questa multietnicità che traspare prorompente ed importante anche dalle tue semplici righe buttate giù velocemente.
    Serve intraprendenza ed originalità, senza troppe domande perchè alla fine quello che non metti nel conto è che spesso la vita sceglie per noi. Auguri

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