24 ottobre 2022
Gli oppositori di Giorgia Meloni, “la fascista”, si mettano l’anima in pace. Giorgia Meloni non è fascista, tanto che Benito Mussolini, informato dei primi atti del Governo Meloni, è andato su tutte le furie.
Era il 1923 e il Duce decise: “Italiani, italiane, d’ora in poi userete solo parole italiane: sandwich non esiste, abbiamo i nostri meravigliosi tramezzini. Grazie a Gabriele D’Annunzio, autore di questo nome, come di altri…”.
Poco meno di cento anni dopo, cosa fa Giorgia? Cambia nome al Mise (Ministero per lo sviluppo economico), che d’ora in avanti sarà il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ministro Adolfo Urso.
Non bastasse, nomina l’ex ministro Cingolani “advisor di Palazzo Chigi per le questioni energetiche. Ruolo concordato tra Draghi e Meloni”. Parole di Cingolani, passato in un attimo, potenza degli incarichi e delle poltrone, da “grillino” – lo disse chi, senza vergogna, lo presentò così, per farlo ingoiare alla sprovveduta massa dei suoi seguaci (Beppe Grillo, febbraio 2021).
Ora, da una che il 19 ottobre 2019, in Piazza San Giovanni, a Roma, dichiarò “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana”, ci si sarebbe attesi altre scelte.
A maggiore ragione se è sempre stata all’opposizione di Draghi, e forse anche per questo ha preso un mare di voti. Ora che s’accordi proprio con il banchiere, da lei pesantemente contestato (“La nostra idea di Europa non è quella di Draghi. Il suo esecutivo è un’anomalia soltanto italiana” (18 febbraio 2021), sia pure solo per confermare con un altro ruolo uno dei ministri del governo precedente, è, questa sì, un’anomalia tutta italiana.
O forse, con la scelta del ministero del Made in Italy e la nomina dell’advisor, Giorgia Meloni ha voluto dimostrare di non essere fascista, cancellando i rigurgiti mussoliniani in difesa della razza… pardon, della lingua.
Ma è possibile che, come già Matteo Renzi con l’ignobile Jobs Act, nel suo Governo Meloni non abbia amici veri, o almeno un cognato, capaci di dirle, “No Giorgia, questo ministero e questo advisor proprio no…”.
Invece, pure Giorgia si è arresa agli inglesi, facendo rivoltare nella tomba la buonanima di “quando c’era lui…”.
Immaginate la festa nelle redazioni, da sempre felici di ricorrere a parole inglesi, o comunque straniere.
Già lunedì, in SkyTg24, raccontando la visita a Roma del presidente francese Macron, un giornalista ha annunciato che il “pranzo al Quirinale è schedulato…”.
Perché, gentili lettori, dire programmato non è degno del giornalismo italiano.
Letto lo scorso maggio sul Corriere della Sera di Bologna, a proposito di Miloš Teodosić, il giocatore serbo della Virtus:
È parso avere quel mood da unfinished business che era stato il claim…
Alzi la mano chi ha capito cosa significa.
La Gazzetta dello Sport intervista il pallavolista della Lube Civitanova e della Nazionale, Simone Anzani, e scrive:
Come hanno influito questi step nella sua carriera?
Scrivere passi invece di step sa di giornalismo di campagna. Non sia mai. E allora vai con l’inglese, tanto amato dai giornalisti che scrivono o parlano di calcio.
Per dire che il portiere del… ha mantenuto ancora una volta l’imbattibilità, su SkySport24 annunciano, in estasi: “È l’ennesimo clean sheet”. Correndo pure il rischio che la pronuncia lo trasformi in clean shit, merda pulita.
In tempi di annuncite, il tema preferito dagli amministratori italiani, sulle pagine dei quotidiani è un fiorire di:
Lavori in corso, strade off limits.
Scrivere chiuse?
E che dire di chi racconta: Fano, Torrette ha detto sì al waterfront. È il lungomare, ma vuoi mettere come suona meglio waterfront.
E che dire del titolo sul Nuovo ospedale, ecco i numeri e la roadmap.
E ancora: Sarà un’estate di rebuilding. Anzi sarà un work in progress.
Stupendo anche La via… è una gruviera, urge restyling
Il meglio del meglio appartiene al sindaco Ricci, che non vede l’ora di spostare la ferrovia per realizzare l’high line… Poi dicono che andare a New York City faccia bene. Vuoi mettere passeggiata sopraelevata invece che high line? No, meglio l’inglese, pure in una città che non brilla per la conoscenza delle lingue straniere.
A fine luglio-inizio agosto, un amico americano è stato cinque giorni a Pesaro. La città gli è piaciuta, Urbino l’ha incantato, ha mangiato bene, ma ha avuto un problema: chiedere e ricevere informazioni. “Pochissime persone parlano inglese”.
Ad aumentare la media ci pensano gli annunci degli amministratori e gli articoli dei giornali.
C’è un matrimonio di gente conosciuta? Ecco che spuntano
Wedding plane e wedding cake… Peccato che wedding plane significhi aereo nuziale. Semmai wedding planner, organizzatore di matrimoni. Per quanto riguarda wedding cake, una volta si diceva torta nuziale. Ma non andatelo a dire agli italians journalists, se ne avrebbero a male.
Loro al quartiere dei ristorantini preferiscono il “polo del food”.
A proposito di cibo, abbiamo letto: Frutta e verdura, private label sugli acquisti.
I giornalisti che si occupano di spettacoli, non amano scrivere il tappeto rosso, privilegiando il red carpet.
Sì, sia cartaceo o digitale, il giornalismo italiano prova intime soddisfazioni quando può anticipare: Voto smart attraverso l’app digital.
Si può commentare come il Commissario Schiavone?
Lasciamo l’inglese, passiamo allo spagnolo, ma poco importa, quel che conta è usarlo senza conoscerlo. Come quando scrivono “rapina in banca, è intervenuto il vigilantes”, che era solo, quindi il vigilante. Oppure “protesta in difesa del murales di…”, che è singolare, quindi il mural. È così difficile scrivere murale, in italiano?
E che ne pensate di Lorenzo Fontana, il leghista nuovo presidente della Camera dei Deputati? Nel suo curriculum ha scritto, due volte, inpiegato. Non va meglio nell’orale, visto che nella prima seduta del nuovo parlamento ha annunciato “ìndico la votazione”, con l’accento sulla i iniziale, anziché sulla seconda, indìco la votazione.
Forse è vero che politici farebbero bene a usare l’inglese. Esprimendosi in italiano si fanno capire da pochissimi.
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