4 ottobre 2022
PESARO – Emozioni alle stelle, sentimenti usuali nel mondo degli Angels, che in oltre quarant’anni di storia hanno riempito di affetti, amicizia, fratellanza l’enciclopedia dello sport.
Un capitolo in più l’abbiamo vissuto lunedì sera, partecipando all’incontro con Scott Swallow, un giocatore importante nella storia della società sportiva pesarese. Oggi vive a Philadelphia, ma gli Angels e Pesaro sono sempre nel suo cuore, anche a quarant’anni di distanza dalla felice intuizione di Maurizio Terenzi, all’epoca il Signor Eurosystem, oggi straordinario interprete di un’idea meravigliosa “L’Angelo che c’è”. Con lui gli angeli non mancano mai, come ha imparato un giovane africano che… Ma questa è un’altra bellissima storia che prima o poi Maurizio racconterà, se qualcuno sarà bravo a recepirla e narrarla.
Dunque, quando il football americano incomincia a entrare nelle nostre case – a Pesaro lo guardavamo soprattutto grazie agli schermi giganti del ristorante di Mike Sylvester, prima in Via Giordano Bruno, poi in Viale Trento, perché il giocatore di basket aveva un fratello, Steve, che in quegli anni vinceva tre SuperBowl con i Los Angeles Raiders –, Maurizio Terenzi decide di formare una squadra, gli Angels.
Qualcuno dell’ambiente storce la bocca: ma quando mai un manipolo di duri può chiamarsi Angels?
“Fosse solo questo – ironizza Terenzi –: quando partecipavo alle riunioni, a Milano, avanzando la richiesta di partecipare al campionato, non sapevano dove era Pesaro, ci confondevano con Pescara…”.
L’ottimismo della volontà contro il pessimismo dell’ignoranza altrui. Maurizio Terenzi, però, ha una dote che pochi possono vantare: l’autoironia.
“Beh, io non avevo visto mai una partita e non conoscevo le regole. E ancora oggi non le conosco”.
Però credeva fortemente nell’idea, che non era ancora un progetto.
“Cercavo l’uomo che mi avrebbe aiutato a realizzarlo. Mi presentai alla base americana di Rimini, volevo conoscere Joe McKenzie. Un nome che mi entusiasmava. Era come andare a mangiare da McDonald’s, per me era l’America. Jo McKenzie mi sembrava perfetto per una squadra di football americano. Sì, era lui il mio uomo. Invece conobbi Jerry Douglas…”. Lo dice e sorride, e sorride anche Jerry.
“Va bene – gli dico –, ma ascoltami bene: tu fai l’allenatore, io non interferirò mai nelle tue scelte, ma tu non mettere becco nelle decisioni della società. E soprattutto portami un grande giocatore americano, uno di quelli tosti che fanno impazzire i tifosi…”.
Ne parlarono a cena, in un ristorante pesarese apprezzato per il menu di pesce, che Jerry mandò indietro. Voleva una bistecca e una Coca Cola, niente vino.
Maurizio abbozzò, ma trasalì quando Jerry si presentò con l’americano…
“Sognavo di vedere arrivare un giocatore nero, di quelli che spaccano il mondo e lui mi si presenta con questo qui…”.
Terenzi guarda Scott e sorride, e sorride pure Scott.
“Tutto il contrario di quanto sognavo… ma è stata la scelta migliore che Jerry potesse fare”.
Lo raccontano i numeri, lo ricorda la storia: una semifinale alla prima stagione, persa 9-6 – si può aggiungere ingiustamente? – contro i Rhinos Milano, campioni d’Italia in carica, poi riconfermatisi. Due partecipazioni al SuperBowl. Giocate straordinarie in attacco – memorabile il touchdown nella semifinale di Busto Arsizio, vinta contro i Frogs – e in difesa. Un giocatore totale.
“Un esempio per tutti noi”, sottolinea Daniele Magrini.
Scott, in Italia con la moglie Liz, è emozionato, come tutti i partecipanti. Sta parlando con Tiziano Ascani di un compagno di squadra che non è presente, quando, al di là della lunga vetrata, appare proprio lui, l’assente: Pippi Moscatelli, una delle colonne degli Angels. Pippi partecipa raramente agli incontri conviviali, ma, pure non fermandosi a cena, non vuole mancare. Saluta Scott, l’abbraccia.
A come Angels, come amicizia e affetto.
Scott abbraccia tutti, e idealmente chi non è presente alla serata, soprattutto chi non c’è più.
Jerry Douglas, che vive da sempre a Rimini e vorrebbe tornare negli USA a fare un viaggio coast to coast in automobile, ma al momento s’accontenta di informarsi sulla partita dei Kansas City Chiefs contro Tampa Bay, racconta Scott: “Era mio sottoposto nella base americana.. Ricordo le punizioni inflitte, e quelle ignorate perché altrimenti non avrebbe giocato la partita della domenica. E Terenzi l’avrebbe presa malissimo”.
Scott conversa con tutti, con Pietro Foglietta e Tiziano Ascani, Filippo e Marco Leonardi, Stefano Stocchi e Claudio Zanutel, Riccardo Orlandi e Simone Rossini, Giorgio Dragomanni e Luigi Palleri, Enrico Brardinelli e Daniele Magi, Michele Andruccioli (che ha portato un’apprezzata torta della gelateria Pucci) e Daniele Magrini, Gianni Accardi, Maurizio Terenzi e Jerry Douglas.
E, come dopo le partite di tanti anni fa, parla con chi scrive.
“Quando sono arrivato qui, vedendovi, mi è sembrato di vivere un sogno, di tornare indietro nel tempo. Un’emozione fortissima”.
Gli Angels, qual è il primo pensiero che ti viene in mente?
“Il team, la squadra, l’amicizia, una famiglia. Valori emersi tanti anni fa nei momenti di difficoltà: sempre insieme, nelle tante vittorie e nelle poche sconfitte”.
Quanto ti sei portato di Pesaro e degli Angels dove vivi oggi, a Philadelphia?
“Tutto! Dice mia moglie che parlo degli Angels come fosse ieri. Tutto ciò che ho realizzato in America è frutto di quanto imparato a Pesaro, con gli Angels e dagli Angels”.
Scott ha detto che grande spazio nel suo cuore è occupato dagli Angels, soprattutto da quelli che non ci sono più. Un’emozione. Alla cena presente anche Puppi, moglie di Gianluigi Luchena, con Patrizia, Anna e Liz.
“È stato molto difficile apprendere, in America, della scomparsa di Luchena e Fiorenzo Troisi e di tutti gli altri che non ci sono più. Quando sono a casa e guardo le fotografie, i filmati delle nostre partite e i SuperBowl su YouTube, li rivedo in panchina o in campo e provo tanta tristezza”.
Emozionante anche l’arrivo di Pippi.
“Non aspettavo di vederlo, mi ha fatto una bella sorpresa”.
Jerry ha speso bellissime parole per raccontare Scott Swallow.
“Dopo il tempo insieme, nel lavoro e negli Angels, siamo diventati grandi amici. Per me è come un padre. La sua grandezza è avere indicato la strada giusta a cinquanta ragazzi che neppure sapevano cosa fosse una palla di football e un anno dopo giocavano come una squadra in America”.
Tanti risultati, due partecipazioni ai SuperBowl di Padova e Bologna. Hai ancora rammarico o addirittura rabbia per le sconfitte?
“Ah… – Scott sospira –. Rabbia no, un po’ di rammarico sì, ma consapevole di essere arrivato a fine partita avendo dato tutto. Contro i Doves, nell’85, fu una partita giocata veramente bene da entrambe le squadre, ma non ci diedero la possibilità di provarci fino in fondo. Invece, a Bologna, nell’86, nel primo quarto ho fatto un fumble (perdere la palla; ndr) quando eravamo nelle loro 10 yard, a un passo dal touchdown. Ancora oggi, ogni tanto mi sveglio pensando a quella palla che scivolava dalle mie mani. A distanza di anni capita anche di parlare con americani che giocavano nei Doves e nei Warriors e tutti mi dicono che gli Angels sono stati la squadra più difficile da affrontare”.
In America parli mai con connazionali che hanno giocato a Pesaro?
“Con Joe Breslin (militare come Scott, i due furono la prima coppia di americani in maglia Angels; ndr) ci sentiamo almeno una volta alla settimana. Dovevamo tornare, insieme, due anni fa per l’anniversario degli Angels, poi è successo quel che è successo e non è stato possibile viaggiare. Lo chiamerò più tardi per raccontargli questa bellissima serata”.
L’ennesimo capitolo di una bellissima storia è nella sintesi finale di Maurizio Terenzi.
“Dopo quarant’anni ci ritroviamo in tanti, in poche ore. Scott ha scritto che avrebbe gradito incontrarci, e noi siamo qui. Una squadra ricca di valori, realizzati. Credo non ci siano un altro sport e un’altra squadra che sappiano dare altrettanta ricchezza morale. Tutto ciò riempie il mio cuore di gioia e orgoglio”.
Mentre sulla chat degli Angels pervengono messaggi indirizzati a Scott dagli assenti, qualcuno quasi in lacrime, impossibilitati a partecipare alla serata, s’alza il coro che accompagnava la partenza del pullman per le trasferte…
Romagna mia…
Gli americani di Rimini più romagnoli di Casadei.
Il timbro finale è il saluto via Twitter di Scott Swallow, un messaggio italo-americano.
Fratelli forever!, fratelli per sempre. Tu chiamale, se vuoi, emozioni.
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