Un libro alla settimana: Informazione e potere

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10 giugno 2022

PESARO – La rubrica di oggi è per informare chi avesse perso la notizia, sparita da quasi tutti i cosiddetti organi d’informazione, sulla pagina che il Corriere della Sera ha dedicato ai “putiniani d’Italia”.
Ieri i colonnelli, oggi i giornalisti.
La forzatura non è casuale e ogni riferimento alle vicende attuali è fondata.
Nell’introduzione a La fattoria degli animali, George Orwell scrive:  “Se la libertà ha un qualche significato, è il diritto di dire agli altri quello che non vogliono sentirsi dire“.
Oggi è l’esatto contrario.
Non si spiegherebbe altrimenti perché il Corriere della Sera abbia sentito la necessità, il bisogno, il dovere?, di pubblicare una pagina con tanto di foto segnaletiche su Influencer e opinionisti. Ecco i putiniani d’Italia.
Ora, se un italiano si facesse pagare dal despota di Mosca per pubblicare false notizie e influenzare l’opinione pubblica meriterebbe il nostro disprezzo e, nel caso fossero ravvisate notizie di reato, l’intervento della Procura della Repubblica competente.
Se, al contrario, queste persone fossero solo “colpevoli” di avere un’opinione diversa dal “pensiero unico dominante“, il Corriere della Sera dovrebbe risponderne.
9788842098959_0_536_0_75Siamo contro le querele, a incominciare da quelle temerarie tanto amate dai politici, ma ci auguriamo che tutte le persone esposte alla gogna non accettino di essere trattate come mostri e di conseguenza sbattuti in prima pagina.
È noto il discredito di cui “gode” l’informazione italiana. La categoria dei giornalisti è giudicata meno credibile di quella dei parrucchieri (con il massimo rispetto, per i parrucchieri). Un commento al fatto in questione è spietato: Corriere della Sera? L’informazione al tramonto.
In questo contesto mi ha colpito molto un articolo firmato da Massimo Alberizzi, storico giornalista del quotidiano milanese.
Lo ha pubblicato Senza Bavaglio, che informa dal 29 settembre 2000, grazie a “un gruppo di giornalisti che credono nel loro lavoro e nell’informazione libera. Riteniamo che il mestiere di giornalista sia fondamentale per la democrazia, di cui siamo la coscienza critica“.
Il titolo è eloquente:  Con la pubblicazione della lista dei “Putiniani d’Italia”, il Corriere cancella il giornalismo di Piero Ottone. (storico direttore del Corrierone; ndr).
Scrive Alberizzi:
Il lavoro dei giornalisti – diceva l’ex direttore del quotidiano – deve essere improntato alla verifica delle fonti e delle informazioni che si ricevono, evitando di farsi strumento di interessi di parte.
Credo che ieri mattina (5 giugno 2022; ndr) Piero Ottone, il direttore che mi ha assunto al Corriere della Sera, si sia rivoltato nella tomba a leggere quanto pubblicato dal quotidiano di via Solferino. Io sono solo trasecolato. Sotto un occhiello un po’ inquietante (Dossier: Il materiale raccolto dai servizi individua i canali usati per la propaganda e ricostruisce i contatti. Così la Rete fa partire la controinformazione) si legge un titolo sconcertante: “Influencer e opinionisti Ecco i putiniani d’Italia“. E giù una severa e allarmante lista di proscrizione. Eppure, a scrivere l’articolo sono due giornaliste esperte e navigate, Fiorenza Sarzanini e Monica Guerzoni. Stavolta il titolo corrisponde al pezzo. Infatti, l’articolo racconta come il Copasir abbia avviato un’indagine “entrata nella fase cruciale. Il materiale raccolto dall’intelligence individua i canali usati per la propaganda, ricostruisce i contatti tra gruppi e singoli personaggi. Che io sappia il Copasir non fa indagini proprie. Piuttosto chiede ai servizi (che fanno indagini) notizie su vicende di loro interesse… Interesse che dovrebbe essere pubblico, non privato. Persone che vengono descritte e accusate di essere filoputiniane solo perché pensano cose che non sono in sintonia con le scelte di Biden, di Draghi e della NATO. Di solito un paginone così si dedica agli accusati di terrorismo. Smania dello scoop a tutti i costi? Forse.
Un articolo illuminante, quello di Alberizzi, in particolare quando ricorda che Piero Ottone licenziò su due piedi Giorgio Zicari. “Era il cronista principe della giudiziaria. Fu definito “il miglior reporter italiano del dopoguerra dopo Tommaso Besozzi“. Zicari Sull’attentato di piazza Fontana pubblicò diversi scoop avvalorando e sostenendo la pista anarchica. Contribuì a sbattere “il mostro in prima pagina”. Pietro Valpreda finì in carcere per qualche anno. Poi si scoprì che Zicari pubblicava, con la copertura del direttore di allora, Giovanni Spadolini, e del suo capocronista, Franco di Bella, veline dei servizi segreti senza controllarle o verificarne i contenuti. Cioè si prestava a depistaggi ben organizzati. Arrivò Piero Ottone e Giorgio Zicari dovette cercarsi un altro giornale. Io non so bene se se n’è andato spontaneamente, se fu caldamente invitato ad andarsene o se fu licenziato. Fatto sta che Ottone spiegò come fosse intollerabile che un giornalista diventasse strumento di depistaggi e di violazioni palesi della deontologia professionale. Altri tempi, altro giornalismo, conclude Alberizzi.
Per leggere l’articolo completo bisogna accedere a Senza Bavaglio.
https://www.senzabavaglio.info/2022/06/06/con-la-pubblicazione-della-lista-dei-putiniani-ditalia-il-corriere-ha-chiuso-con-il-giornalismo-di-piero-ottone/
Fiorenza Sarzanini, va scritto a suo onore, partecipando a un dibattito con Giorgio Bianchi e Manlio Dinucci, catalogati nel suo articolo fra i putiniani d’Italia, ha affermato: “Da noi nessuna tesi, diamo conto dell’indagine del Copasir“.
Il presidente di Copasir, il senatore Urso, ha precisato: “Mi è arrivato tre giorni dopo la pubblicazione, lunedì, dai servizi, perché coordinato da loro e perché classificato. È un documento realizzato da un tavolo interministeriale che esiste dal 2019, a cui partecipano ministeri, ma anche l’Agcom (l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ndr)”.
Il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), è un organo bicamerale composto da 5 senatori e 5 deputati. Nel sito del Copasir, oltre a diverse informazioni, c’è una pagina dedicata all’intelligence. Ormai, anche in questi organi l’italiano è dimenticato.
L‘intelligence è lo strumento di cui lo Stato si serve per raccogliere, custodire e diffondere ai soggetti interessati, siano essi pubblici o privati, le informazioni rilevanti per la tutela della sicurezza delle Istituzioni, dei cittadini e delle imprese.
L‘intelligence svolge, pertanto, un ruolo fondamentale e imprescindibile per il quale si serve di professionalità provenienti da ambienti diversi che agiscono secondo peculiari procedure volte a salvaguardare la riservatezza degli operatori e delle loro attività.
Nel nostro Paese tale compito, con la legge 124/2007, è stato affidato al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), il cui Direttore generale è nominato direttamente dal Presidente del Consiglio dei ministri, e alle due agenzie operative che si occupano delle dimensioni interna (AISI) ed esterna (AISE) della sicurezza nazionale. Tali Organismi informativi per la sicurezza sono chiamati a garantire l’indipendenza della Repubblica, la salvaguardia delle istituzioni democratiche, la protezione degli interessi politici, economici, industriali, militari e scientifici e la sicurezza cibernetica.
Ora, alla guida del DIS c’è il prefetto Franco Gabrielli, che ha smentito “liste di proscrizione”: “(Il DIS) Non ha mai stilato alcuna lista di politici, giornalisti, opinionisti o commentatori, né ha mai svolto attività di dossieraggio“.
Qualcuno non la racconta giusta, è evidente.
A me non sembra giusta la lista di Sarzanini e Guerzoni: manca il… Papa.
La stampa italiana, però, è adusa a tirare in ballo il Papa quando gli fa comodo. Ne ha parlato lo storico Alessandro Barbero, intervistato da Alessandro Di Battista  per Ostinati e Contrari.
Mi colpisce di più il fatto che in questo nostro Paese, con forti radici cattoliche, dove per tanto tempo qualunque cosa dicesse un Papa era l’apertura del telegiornale, con questo Papa che dice cose che possono dare fastidio non c’è nessuna apertura del telegiornale“.
Di Battista domanda: Ero giovane, però ricordo che quando, anche giustamente dal suo punto di vista, Giovanni Paolo II si scagliava contro il comunismo aveva tutte le prime pagine dei giornali. Invece quando si scagliò contro l’intervento militare in Iraq subì una censura simile a quella che sta subendo Papa Bergoglio.
È così. E forse già allora avremmo dovuto prevedere quello che sta succedendo adesso e che invece ci stupisce così tanto. Dopodiché, ci rendiamo conto sempre più come vengano messe tranquillamente nel dimenticatoio le parole d’ordine tradizionali su cui si è costruito l’Occidente, cioè il pluralismo e la tolleranza delle opinioni diverse dalla propria, che sono poi le uniche cose al di là del benessere materiale che giustificano una supremazia dell’Occidente nel mondo. La tradizione della tolleranza del dire ‘non sono d’accordo, però sono pronto a combattere perché tu possa esprimere la tua opinione.
Poche parole per “capire” la pagina del Corriere della Sera.
A tal proposito, un amico, lettore di www.pu24.it, ha accusato questa rubrica, quindi il suo autore, di essere fra i putiniani italiani, schierata per principio contro gli Stati Uniti d’America e la NATO.
Ho pensato – leggendo l’articolo del Corriere della Sera, che avrei trovato il tuo nome…”.
La presenza del mio nome, in base alle rubriche pubblicate dal giorno dell’invasione dell’Ucraina, avrebbe confermato che siamo alle barzellette, come la convinzione del mio  amico.
Gli ho risposto così:
Sono talmente antiamericano che la prima cosa che faccio la mattina è accendere il computer ed entrare nel sito della Major League Baseball per informarmi sulle gare della notte italiana, in particolare sul risultato degli Yankees. Nel 2009, anno delle ultime World Series vinte dalla squadra del Bronx, ero allo Yankee Stadium a tifare Derek Jeter e compagni.
Se ho fatto il giornalista sportivo, lo devo prima di tutto al baseball, perché Claudio Conforti, l’allora direttore di Stereo Pesaro 103, mi affidò le radiocronache della Scavolini Baseball. In seguito ho fatto le radiocronache degli Angels, la squadra di football americano, e della Scavolini Basket.
Dunque, la mia vita professionale si è sviluppata grazie a tre sport americani. Posso essere – per principio – antiamericano?
Assolutamente no, e non sono contro o a favore per principio. Preferisco informarmi prima di giudicare.
Ho mille motivi per amare gli Stati Uniti d’America. Fra questi, tre riguardano gli Yankees, i Philadelphia 76ers e i Dallas Cowboys, le squadre che tifo negli sport statunitensi. Ho amato e amo gli sport e gli sportivi americani: Jesse Owens e Muhammad Ali, John Carlos e Tommy Smith, Jackie Robinson e Joe Di Maggio, Kareem Abdul-Jabbar e Julius Erving, Michael Jordan e Kobe Bryant.
Altri motivi per amare gli States sono la musica di Bruce Springsteen e Patty Smyth, Elvis Presley e Jimi Hendrix, Bob Dylan e gli Eagles. Amo i libri di Jack Kerouac, Philip Roth, Ernest Hemingway, Mark Twain, Jack London.
Ma se ho mille motivi per amare gli USA, ne ho altrettanto per detestarli, o comunque per criticarli.
Fra questi, il razzismo, il sentirsi padroni del mondo, o almeno i poliziotti del mondo. E sappiamo bene qual è il comportamento dei poliziotti americani.
Un altro motivo è mettere al di sopra di tutto se stessi: “L’America non ha amici, solo interessi“, è una delle frasi che mi indignano da sempre. Fu attribuita al segretario di Stato Foster Dulles. Più probabilmente è di Charles Dr Gaulle. In ogni caso è la verità.
Ho visto con i miei occhi gli effetti dei bombardamenti sulla Jugoslavia, voluti dagli Stati Uniti con la complicità servile della NATO.
E ho bene in mente le menzogne di Bush junior e del suo complice Tony Blair per invadere l’Iraq.
L’ultimo esempio arriva dalle mille isole che compongono l’arcipelago delle Salomone. Ad aprile, il governo cinese e quello dell’isola del Pacifico hanno raggiunto un accordo di sicurezza che potrebbe portare alla realizzazione di una base militare cinese in una delle isole Salomone.
Immediata la reazione di Washington, che ha minacciato “conseguenze”.
Honiara, nell’isola di Guadalcanal, è la capitale delle Salomone e dista 13.491 km da Washington. Eppure, gli Stati Uniti d’America, che hanno centinaia di basi militari sparse in tutto il mondo, spesso con armi atomiche ignote ai cittadini del posto, si sentono i padroni anche delle Salomone, a dispetto degli abitanti.
Ovviamente, quasi tutta la stampa italiana si è ben guardata dal sottolineare questa arroganza, limitandosi a informare (?) della reazione statunitense.
Gli USA sono nostri alleati, ma si comportano da padroni, come abbiamo sottolineato ricordando la strage – impunita – del Cermis.
Dunque, sono solidale con i “mostri” del Corriere, con il loro essere estranei al “pensiero unico dominante”.
Ed è vergognoso che ci sia, fra i cittadini, chi applaude all’articolo contro i putiniani, fingendo di essere meglio dei russi, ma alla prova dei fatti pari se non peggio. Ho letto cose ignobili scritte dai codardi da tastiera per insultare le persone additate al pubblico ludibrio.
Sono della stessa caratura morale del vigliacco che ha fatto arrestare l’artista russa Aleksandra Skochilenko, imprigionata lo scorso aprile per aver sostituito i cartellini dei prezzi con informazioni e slogan contro la guerra in un supermercato di San Pietroburgo. Secondo il suo avvocato, a chiamare la polizia era stato un cliente del supermercato. Se condannata Aleksandra, rischia fino a 10 anni di carcere. Celiaca, avrebbe bisogno di una dieta speciale, impossibile in carcere.
Amnesty International sta raccogliendo le firme per chiederne la liberazione. Ho firmato giovedì mattina. Se volete aderire, entrate nel sito web di Amnesty International. Grazie.
Informazione e potere è un viaggio di centocinquanta’anni…
Nei rapporti tra potere politico, economico e finanziario e mondo giornalistico italiano esiste una prassi di lungo periodo, declinata dal fascismo in forme mai viste prima ma non pienamente rimossa neanche dalla transizione alla democrazia repubblicana. Si tratta di una delle conseguenze della particolare connotazione storico-politica di un paese come il nostro, nel quale una ristretta oligarchia ha guidato tutti i passaggi decisivi della vita economica e politica e ha riprodotto un modello spiccatamente gerarchico nella distribuzione della ricchezza e del potere, anche a livello di influenza sui canali di informazione. A questa condizione ha fatto non di rado da corrispettivo la malcelata aspirazione di vari celebrati rappresentanti del mondo giornalistico italiano di entrare a far parte di quella stessa ristretta oligarchia, in una logica di non alterazione – e anzi spesso di salvaguardia dei rapporti di potere. Mauro Forno prende in esame gli ultimi centocinquant’anni di storia italiana e analizza le maggiori questioni che hanno attraversato il giornalismo italiano: i periodici d’informazione, confessionali e di partito, le strutture governative di controllo, il sindacato di categoria, la propaganda di guerra e l’esperienza fascista, l’istituzione dell’albo, le leggi repubblicane sulla stampa e l’editoria, fino all’avvento della televisione e del giornalismo online.

Informazione e potere, di Mauro Forno (Laterza)

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