Un libro alla settimana: La fattoria degli animali

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15 aprile 2022

120422Orwell1PESARO – Volevo mettere da parte, almeno per questa settimana, il tema degli ultimi mesi, sceglierne uno più leggero. Due notizie di martedì mi hanno spinto a proseguire sullo stesso tema che accompagna i nostri giorni: l’invasione dell’Ucraina, la guerra che fa strage di persone e di idee e sta tirando fuori il peggio di ognuno di noi.
Aspettavo la prima notizia, convinto che prima o poi l’arroganza degli statunitensi avrebbe messo in mano a Putin una carta da giocare: l’arroganza dei suoi pari, criminali di guerra come il despota del Cremlino.
Il criminale di guerra al quale mi riferisco – lo attestano i fatti, non le mie parole – è Bill Clinton, presidente degli Stati Uniti d’America che diede l’ordine di bombardare la Jugoslavia. Si potrebbe obiettare: fu la NATO a bombardare, peraltro ignorando di non avere ricevuto alcun mandato dalle Nazioni Unite. Le parole di Clinton confermano che gli USA decidono, la NATO e gli altri paesi,  trattati servi non alleati, eseguono.
The Atlantic (una rivista americana fondata nel 1857 che si occupa di politica interne ed estera, di economia, cultura, letteratura, tecnologia  e salute) ha pubblicato – anticipato da un titolo inequivocabile – un lungo articolo firmato da Bill Clinton: I Tried to Put Russia on Another Path, è il titolo: Ho cercato di indirizzare la Russia verso un altro percorso.
Come?
My policy was to work for the best, while expanding NATO to prepare for the worst.
La mia politica era di lavorare per il meglio, espandendo la NATO,  per prepararsi al peggio.
L’articolo incomincia così:
When I first became president, I said that I would support Russian President Boris Yeltsin in his efforts to build a good economy and a functioning democracy after the dissolution of the Soviet Union—but I would also support an expansion of NATO to include former Warsaw Pact members and post-Soviet states.
Quando divenni presidente, dissi che avrei supportato il presidente russo Boris Yeltsin nei suoi sforzi per costruire una buona economia e una democrazia che, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, funzionasse. Ma ho supportato anche l’espansione della NATO includendo i paesi ex membri del Patto di Varsavia e gli Stati post sovietici
Clinton aggiunge:
… I was worried not about a Russian return to communism, but about a return to ultranationalism, replacing democracy and cooperation with aspirations to empire, like Peter the Great and Catherine the Great. I didn’t believe Yeltsin would do that, but who knew what would come after him?
Io non ero preoccupato dal ritorno del comunismo in Russia, ma del ritorno dell’ultranazionalismo che rimpiazzasse la democrazia e la cooperazione con l’aspirazione a ricostruire un impero, come Pietro il Grande e Caterina la Grande. Non pensavo che Yeltsin l’avrebbe fatto, ma chi poteva conoscere cosa sarebbe accaduto dopo di lui?
La conferma che gli USA si sentono i poliziotti del mondo,  che è come se anche Al Capone si fosse sentito così bandito e allo stesso tempo poliziotto.
L’ultimo esempio è ancora di martedì: gli USA hanno fatto saltare il presidente eletto in Pakistan per sostituirlo con uno più vicino agli interessi degli americani.
In questo campo, abitualmente i peggiori risultano i Democratici; sono soprattutto loro a fare le guerre, o a spingere per farle.
E adesso cosa scriveranno gli zerbini che s’identificano con la bandiera a stelle e strisce? Scommetto che daranno ragione a Clinton, magari gli attribuiranno doti di veggente, non del mascalzone che ha calpestato, come altri presidenti degli Stati Uniti d’America e di altri paesi occidentali, accordi raggiunti con Gorbaciov.
La seconda notizia di martedì 12 aprile riguarda la censura  in Russia. Anche qui non è una novità, come racconta la lunga storia (anche) della letteratura e della musica.
Seguo con la massima attenzione possibile l’impegno di alcune organizzazioni internazionali. Sostengo Oxfam, mi informo sulle iniziative di Amnesty International, Emergency, Greenpeace, Medici Senza Frontiere e altre ancora.
Alle ore 9,13 di martedì 12 aprile, ho ricevuto un messaggio di posta elettronica inviato dalla sezione italiana di Amnesty International: Le autorità russe hanno chiuso l’ufficio di Amnesty International a Mosca.
Se il Cremlino cerca di chiuderti vuol dire che stai facendo la cosa giusta”.
“Con queste parole la nostra segretaria generale Agnes Callamard ha commentato la chiusura, da parte delle autorità russe, degli uffici di Amnesty International a Mosca avvenuta venerdì 8 aprile: “In uno stato dove attivisti e dissidenti vengono imprigionati, uccisi o esiliati, dove il giornalismo indipendente è calunniato, sospeso o costretto all’autocensura e dove i gruppi della società civile sono messi fuorilegge o liquidati, se il Cremlino cerca di chiuderti vuol dire che stai facendo la cosa giusta.
“Le autorità si sbagliano profondamente se pensano che, chiudendo il nostro ufficio di Mosca, fermeranno le nostre ricerche e le nostre denunce sulle violazioni dei diritti umani. Continueremo senza sosta a chiedere il rispetto dei diritti umani della popolazione russa. Raddoppieremo i nostri sforzi per denunciare le gravi violazioni dei diritti umani commesse dalla Russia sia in casa che all’estero.
“Non cesseremo mai di chiedere la liberazione dei prigionieri di coscienza ingiustamente in carcere per aver difeso i diritti umani. Continueremo a difendere il diritto del giornalismo indipendente di denunciare i fatti e ad assicurare che i responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, che siano commesse in Russia in Ucraina o in Siria, siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Detto più semplicemente, non ci arrenderemo.
“Ora, più che mai, non possiamo fermarci! Dobbiamo agire affinché i colpevoli vengano processati per i crimini commessi, i civili vengano protetti e i diritti di tutte le persone siano rispettati, in Russia come altrove”.
Sottoscrivo ogni parola del comunicato di Amnesty International, un’organizzazione che ha una sola stella polare e tiene ben salda la rotta: il rispetto dei diritti umani, delle idee, ovunque si trovino, ovunque agiscano.
Ovvio che al Cremlino abbiano difficoltà a comprenderlo. Come hanno difficoltà a comprenderlo gli americani quando AI si schiera a tutela dei diritti di Julian Assange, colpevole, per gli Stati Uniti d’America e i loro complici del Regno Unito, di avere scoperchiato il vaso di Pandora dei loro misfatti nel mondo, delle guerre di aggressione, dei crimini contro l’umanità perpetrati dai loro eserciti, con il complice silenzio del Tribunale Penale Internazionale, la Corte de L’Aia che però in passato ha punito l’ex presidente serbo Slobodan Milošević e vorrebbe punire, oggi, Vladimir Putin.
Il TPI, pure istituito sotto l’egida delle Nazioni Unite per giudicare crimini di guerra e di genocidio, si è dimostrato un’emanazione delle potenze occidentali.
È un caso se si è mosso a senso unico, ignorando i criminali di guerra, che talvolta, a dispetto delle loro azioni belliche, vengono addirittura premiati con il Premio Nobel?
Per fortuna, però, nel mondo ci sono ancora numerosi Assange e c’è Amnesty International.
In occasione della prima a trasferta a Belgrado dopo i bombardamenti, un amico serbo, per niente nazionalista, anzi assai moderato, ebbe modo di dirmi: In Italia e in altri paesi occidentali date dei terroristi a chiunque, ma i veri terroristi sono Clinton e gli altri leader europei che hanno organizzato uno spiegamento di forze mai viste per bombardare un piccolo paese come il nostro, colpendo indiscriminatamente obiettivi militari e civili, ospedali compresi. Caro Nenad, avevi ragione, ah se avevi ragione!
La dichiarazione di Bill Clinton e la notizia della chiusura degli uffici di Mosca di Amnesty International invitano a leggere il libro di questa settimana: La fattoria degli animali.
George Orwell pubblicò la fairy story, una favola, una novella allegorica, secondo lo stesso scrittore, nel 1945.
Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair, inglese nato in India, prima anarchico poi socialista, riflette sui fatti che portarono alla rivoluzione bolscevica, alla nascita dell’Unione Sovietica. E conosce la censura della nomenklatura che s’oppone alla morale che emerge dal libro: dopo essersi ribellato, l’uomo finisce per sostituire la persona contro cui ha combattuto. La sete di potere rende ognuno di noi un dittatore.
Insomma, tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.
Come non riconoscersi in questo? E come non ritrovarsi nel saggio La libertà di stampa, in cui Orwell, giornalista, si occupa della censura giornalistica in Inghilterra durante la Seconda Guerra Mondiale:
Chiunque abbia una certa esperienza giornalistica ammetterà obiettivamente che durante questa guerra la censura ufficiale non è stata particolarmente fastidiosa. Non abbiamo dovuto subire quella “coordinazione” di tipo totalitario che ci saremmo ragionevolmente potuti aspettare… Il fatto sinistro per quanto riguarda la censura letteraria in Inghilterra è che essa è in larga misura volontaria. Non è espressamente proibito dire questo o quest’altro, ma non “va fatto”, proprio come in epoca vittoriana non “andava fatto” di nominare i pantaloni davanti a una signora.
La censura volontaria, quella che accompagna i giorni attuali in cui un esercito di criottini vorrebbe cancellare le  opinioni, le idee altrui, intimandoci di essere allineati al pensiero unico dominante.
La stupidità del pensiero unico con cui ha dovuto fare i conti anche George Orwell, che, oltre la censura sovietica, ma ancora nel 2018 ricevette lo stesso trattamento dalla Cina, subì quella di diversi editori inglesi che rifiutarono la pubblicazione.
Vi viene in mente qualcuno che oggi s’oppone alla presenza negli studi televisivi del professor Orsini o aggredisce, per fortuna solo verbalmente, o ancora solo verbalmente, il giornalista  Lucio Caracciolo?
Nel primo caso, ogni riferimento al Partito Democratico e a Italia Viva non è per niente casuale. Nel secondo ai tanti Johnny che fanno di tutto per essere il Nando Mericoni interpretato magistralmente da Alberto Sordi nel film Un americano a Roma.
La fattoria degli animali è ambientata nella fattoria del signor Jones.
Il signor Jones, della Fattoria padronale, aveva chiuso a chiave i pollai, ma era troppo ubriaco per ricordarsi di chiudere gli sportelli. Mentre l’anello di luce della lanterna danzava di qua e di là, attraversò il cortile barcollando; accanto alla porta sul retro si liberò, scalciando, dagli stivali, si spillò un ultimo bicchiere di birra dalla botte che era nel retrocucina e si trascinò a letto, dove la signora Jones stava già russando.
Appena la luce nella stanza da letto si spense, ci furono, tra tutti gli edifici della fattoria, un gran movimento e una grande agitazione. Durante il giorno si era sparsa la voce che, la notte precedente, il Vecchio Maggiore, il verro  di razza Middle White più volte premiato, aveva fatto uno sogno strano e desiderava narrarlo agli altri animali. L’accordo era che tutti dovessero radunarsi nel grande granaio non appena il signor Jones si fosse tolto, per la loro sicurezza, dai piedi. Il Vecchio Maggiore – lo chiamavano sempre così, sebbene il nome gli avevano imposto alle esposizioni fosse “la Bellezza di Willingdon”) era tenuto in così alta considerazione alla fattoria che tutti erano ben disposti a perdere un’ora di sonno pur di udire ciò che aveva da raccontare.
A un’estremità del grande granaio, su una sorta di piattaforma rialzata, il Maggiore si era sistemato comodamente su un letto di paglia, sotto una lanterna che pendeva da una trave. Aveva dodici anni e cominciava a divenire corpulento, ma era pur sempre un maiale dall’aspetto maestoso, spirante saggezza e benevolenza, benché mai fosse stato castrato. In breve cominciarono a giungere gli altri animali e ognuno si accomodava a seconda della propria natura…
Quando vide che tutti si erano bene accomodati e aspettavano attenti, il Vecchio Maggiore si rischiarò la gola e cominciò:
“Compagni, già sapete dello strano sogno che ho fatto la notte scorsa, ma di ciò parlerò più tardi. Ho avuto una vita lunga, ho avuto molto tempo per pensare mentre me ne stavo solo, sdraiato nel mio stallo, e credo di poter dire d’aver compreso, meglio di ogni animale vivente, la natura della vita su questa terra. Di ciò desidero parlarvi.
“Ora, compagni, di qual natura è la nostra vita? Guardiamola: la nostra vita è misera, faticosa e breve. Si nasce e ci vien dato quel cibo appena sufficiente per tenerci in piedi, e quelli di noi che ne sono capaci sono forzati a lavorare fino all’estremo delle loro forze; e, nello stesso istante in cui ciò che si può trarre da noi ha un termine, siamo scannati con orrenda crudeltà. Non vi è animale in Inghilterra che, dopo il primo anno di vita, sappia che cosa siano la felicità e il riposo. Non vi è animale in Inghilterra che sia libero. La vita di un animale è miseria e schiavitù: questa è la cruda verità.
“Fa forse ciò parte dell’ordine della natura? Forse questa nostra terra è tanto povera da non poter dare una vita passabile a chi l’abita? No, compagni, mille volte no! Il suolo dell’Inghilterra è fertile, il suo clima è buono, e può dar cibo in abbondanza a un numero d’animali enormemente superiore a quello che ora l’abita. Solo questa nostra fattoria potrebbe sostentare una dozzina di cavalli, venti mucche, centinaia di pecore, e a tutti potrebbe assicurare un agio e una dignità di vita che vanno oltre ogni immaginazione. Perché allora dobbiamo continuare in questa misera condizione? Perché quasi tutto il prodotto del nostro lavoro ci viene rubato dall’uomo. Questa, compagni, è la risposta a tutti i nostri problemi. Essa si assomma in una sola parola: uomo. L’uomo è il solo, vero nemico che abbiamo. Si tolga l’uomo dalla scena e sarà tolta per sempre la causa della fame e della fatica.
“L’uomo è la sola creatura che consuma senza produrre. Egli non dà latte, non fa uova, è troppo debole per tirare l’aratro, non può correre abbastanza velocemente per prendere conigli. E tuttavia è il signore di tutti gli animali. Li fa lavorare e in cambio dà ad essi quel minimo che impedisca loro di morir di fame e tiene il resto per é. Il nostro lavoro coltiva la terra, i nostri escrementi la rendono fertile, eppure non uno di noi possiede più che la sua nuda pelle. Voi, mucche che vedo davanti a me, quante migliaia di galloni di latte avete dato durante lo scorso anno? E che ne è stato di quel latte che avrebbe dovuto nutrire vigorosi vitelli? Ogni sua goccia è andata giù per la gola del nostro nemico. E voi, galline, quante uova avete deposto in un anno e quante di queste uova si sono dischiuse al pulcino? Le restanti si sono tutte mutate in danaro per Jones e i suoi uomini. E tu, Berta, dove sono i quattro puledri che hai portato in grembo e che avrebbero dovuto essere il sostegno e il conforto della tua vecchiaia? Ognuno di essi fu venduto al compiere di un anno e tu non li rivedrai mai più. In cambio dei tuoi quattro puledri e di tutto il lavoro dei campi, che cosa hai avuto se non una scarsa razione e una stalla?
“E neppure avviene che la misera vita che conduciamo abbia il suo corso naturale. Non mi lamento per me, perché io sono tra i fortunati. Ho dodici anni e ho avuto più di quattrocento figli. Questa è la naturale vita di un maiale. Ma nessun animale sfugge infine al coltello crudele. Voi, giovani lattonzoli che mi sedete dinanzi, voi tutti entro un anno griderete per il fuggir della vita. A questo orrore ciascuno di noi deve giungere: mucche, porci, galline, pecore; tutti. Persino i cavalli e i cani non hanno miglior destino. Tu, Gondrano, il giorno stesso in cui i tuoi possenti muscoli avranno perduto la loro forza, sarai venduto da Jones all’uomo che ti taglierà la gola e farà bollire la tua carne per darla in pasto ai cani da caccia. Quanto ai cani, allorché diventano vecchi e senza denti, Jones lega loro una pietra al collo e li annega nel più vicino stagno.
“Dunque, compagni, non è chiaro come il cristallo che tutti i mali della nostra vita nascono dalla tirannia dell’uomo? Eliminiamo l’uomo e il prodotto del nostro lavoro sarà nostro. Prima di sera potremmo divenire ricchi e liberi. Che fare dunque? Lavorare notte e giorno, corpo e anima per la distruzione della razza umana! Questo è il mio messaggio a voi, compagni: Rivoluzione!
Buona lettura, se non l’avete letto già, ma anche se vorrete rileggerlo, perché questo libro è senza età, come gli uomini che lottano contro le dittature, ma diventato dittatori.
La fattoria degli animali, di George Orwell (Fanucci Editore)

 

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