Un libro alla settimana: Anime morte

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8 aprile 2022

gogolPESARO – Tra Google a Gogol’ la scelta è facile, ma il primo pensiero, davanti al foglio ancora in bianco, è sul messaggio del presidente Mattarella in occasione della Giornata internazionale per l’azione contro le mine e gli ordigni bellici inesplosi, indetta questa settimana dalle Nazioni Unite: “Ogni guerra è disumana. Nelle guerre si possono assumere decisioni tanto crudeli da travalicare ogni limite di orrore. Disseminare il terreno di mine anti-uomo e usare ordigni speciali, che hanno come scopo terrorizzare la popolazione e provocare stragi di cittadini inermi, è una di queste e costituisce un crimine contro l’umanità che si aggiunge alle responsabilità del conflitto“.
Mattarella è lo stesso che nel 1999 era vice presidente del Consiglio nel Governo D’Alema che consentì il bombardamento della Jugoslavia. Usando queste parole ha pensato, almeno per un attimo, di essere stato complice di crimini contro l’umanità? Oppure i crimini sono sempre quelli degli altri, mai dei nostri?
In  Italia, non da oggi, la prima che ho scritto.
Alle ore 16 del 24 marzo 1999 – ha scritto Ugo Barbàra per l’agenzia AGI – “la Forza Alleata (Allied Force) della Nato – costituita da Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Canada, Spagna, Portogallo, Danimarca, Norvegia, Turchia, Paesi Bassi e Belgio – avviò la sua operazione contro la Repubblica Federale di Jugoslavia.
Aggiunge AGI: Secondo dati ufficiali, in tutto furono compiuti 2.300 attacchi aerei da parte della Forza Alleata, distruggendo 148 edifici e 62 ponti, danneggiando 300 scuole, ospedali e istituzioni statali, così come 176 monumenti di interesse culturale e artistico. Gli aerei coinvolti, in tutto un migliaio, partirono dall’Italia, ai quali si aggiunsero 30 navi da guerra e sottomarini salpati nell’Adriatico e in un secondo momento parte delle operazioni ebbero inizio in Ungheria. Le bombe sganciate dalla Forza Alleata avrebbero causato in tutto la morte di 2.500 civili, tra i quali 89 bambini, 12.500 feriti e un numero di profughi che va da 700 mila a un milione. Human Rights Watch ha calcolato fra 489 e 528 le perdite di civili jugoslavi provocate dai bombardamenti. In queste cifre non sono comprese le morti di leucemia e di cancro causate dagli effetti delle radiazioni dei proiettili a uranio impoverito.
L’uso di questi proiettili fu confermato, il 21 dicembre 2000 nella seduta della Camera dei Deputati dallo stesso Mattarella, allora ministro della Difesa..
Ogni vittima di una bomba, di un missile, di un mortaio, di una mitragliatrice, di un fucile è inaccettabile. Purtroppo anche oggi  in Ucraina, come ieri in Jugoslavia, parliamo di stragi, non di singole vittime.
Però voglio dedicare qualche riga di questa rubrica a  una singola vittima, Maxim Levin, il fotoreporter ucraino trovato morto nella zona di Huta Mezhyhirska, dove, in compagnia del fotografo Oleksiy Chernyshov, del quale non si hanno notizie dal 13 marzo, quando era scomparso con Levin. Maxim amava dire che “Ogni fotografo ucraino vuole scattare la foto che fermerà la guerra“. Magari arrivasse presto questo scatto miracoloso. Purtroppo, sua moglie e quattro bimbi in tenera età sono rimasti senza marito e padre.
Maxim, come Oleksiy e tanti altri, apparteneva a una categoria davvero speciale: quella che racconta dal posto.
Al contrario dei “nostri inviati dal salotto” che pontificano ogni giorno e certificano la stupidità del pensiero unico.
A costo di passare per filo-Putin, non mi arrendo ai Mieli, i Folli, i Riotta, i Gramellini, le Tocci, i Merlo, i Buccini, gli Jacoboni e le Di Gregorio e per fortuna posso leggere di giornalisti che – purtroppo – le guerre le hanno raccontate dal posto, non dal divano o dagli studi televisivi, e la vedono in tutt’altra maniera rispetto agli Iluminati da Biden, dalla NATO e da Draghi.
Osservando le televisioni e leggendo i giornali che parlano della guerra in Ucraina ci siamo resi conto che qualcosa non funziona, che qualcosa si sta muovendo piuttosto male. Noi la guerra l’abbiamo vista davvero e dal di dentro: siamo stati sotto le bombe, alcuni dei nostri colleghi e amici sono caduti. Proprio per questo – spiegano – non ci piace come oggi viene rappresentato il conflitto in Ucraina, il primo di vasta portata dell’era web avanzata. Siamo inondati di notizie, ma nella rappresentazione mediatica i belligeranti vengono divisi acriticamente in buoni e cattivi. Anzi buonissimi e cattivissimi. Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo“.
Non ho alcun dubbio che adesso i giornalisti embedded, aggregati, si scateneranno contro Massimo Alberizzi, Remigio Benni, Toni Capuozzo, Renzo Cianfanelli, Cristiano Laruffa, Alberto Negri, Giovanni Porzio, Claudia Svampa, Vanna Vannuccini e Angela Virdò, che hanno firmato questo manifesto che non dovrebbe appartenere a tutti i veri giornalisti. Invece accade che il giornalismo sia votato al pensiero unico e non si ponga domande su tutto ciò che arriva dall’alto.
In prima linea è schierata la Repubblica che per anni, pubblicando, “copia e incolla”, inserti che arrivavano direttamente da Mosca, pagati dalla Russia, ha distribuito stipendi che in parte erano coperti dai rubli di Putin. Alcuni giornalisti de la Repubblica, che ieri esaltava Putin, oggi accusano chi già allora contestava il “dittatore”, ma non ha venduto il proprio cervello al pensiero unico.
Così, Gianni Petrucci, presidente della Federazione Italiana Pallacanestro, ha buon gioco ad annunciare che l’Italia non scenderà in campo contro la Russia nella partita per la qualificazione ai prossimi Mondiali di calcio, peraltro in programma a Pesaro.
E Giovanni Malagò, presidente del CONI, ha altrettanto buon gioco a garantirgli immediato sostegno senza che alcuno gliene chieda conto.
In vena di scherzi, mi si è accesa la lampadina: Petrucci e Malagò sono gelosi di Gravina e della Figc che, assai prima di loro, hanno boicottato un mondiale, quello di calcio il Qatar: non parteciperanno!
Scherzi a parte, lo sanno Petrucci e Malagò  cosa accade in Qatar, sono informati su quante migliaia di morti è costata la scelta di organizzarlo?
Sì o no, sono in pessima compagnia, incominciando dai dirigenti del calcio mondiale, di quella FIFA che, in cambio di tanti soldini ricevuti da quello che è stato definito “Stato canaglia“, hanno stravolto il calendario pure di giocare nell’emirato.
Putin è un dittatore, un sanguinario, un’ex spia del KGB che  ha fatto “conoscere” la Siberia a chissà quante migliaia di connazionali. Ma cos’è il regime saudita che da anni conduce una guerra in Yemen, provocando la morte di chissà quante migliaia di persone, ma anche quella delle vittime della carestia, in prima fila i bambini?
Domanda: sapete chi c’è dietro i Sauditi del principe amico di Renzi, di quel Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd che le beghe con i giornalisti non le risolve con le querele, come fa Renzi, ma con l’omicidio? Gli Stati Uniti d’America. Sono gli USA i primi a sostenere la coalizione di nove paesi arabi sunniti, guidati dall’Arabia Saudita, che, utilizzando anche ordigni italiani, bombarda lo Yemen provocando una crisi umanitaria senza precedenti.
Ma se lo dici o lo scrivi, accusando gli Stati Uniti d’America di essere (anche) dietro questa guerra, in Italia, ma non solo, diventi filo-Putin.
Rivendico il diritto e propongo una domanda a Malagò, Petrucci e ai loro colleghi dirigenti sportivi: avete contezza di tutto questo? Se sì, perché non volete giocare contro la  Russia, ma non avete speso una sola parola contro i Gran Premi di Formula 1 in Bahrain e Arabia Saudita e non avete avanzato alcuna obiezione sui Mondiali in Qatar?
Siete campioni del mondo di ipocrisia.
Però, a essere onesti, Petrucci, Malagò e tanti altri dirigenti sportivi, non solo italiani, sono in buona compagnia, se è vero che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio continua a sottolineare che anche di recente, per trovare alternative al gas russo, ha incontrato, fra gli altri, rappresentanti di Qatar e Azerbaigian, due Stati campioni di democrazia.
Se non ci fosse da piangere per le morti ucraine, ma anche per quelle russe, vittime di una scelta irragionevole e probabilmente non condivisa, a questo punto ci sarebbe da ridere…
Merito di Google.
La notizia è della settimana passata.
Google Tells Publishers They May Be Demonetized For Certain Ukraine War Content, ha scritto Brice Haring per Deadline.
A causa della guerra in Ucraina, sospenderemo la monetizzazione dei contenuti che sfruttano, ignorano o giustificano la guerra“.
Non c’è niente da fare, sono americani, nel senso peggiore del termine. Vista la linea adottata dai vertici di Google, perché non fanno altrettanto per i numerosi eventi bellici in corso, per le vergognose violazioni dei diritti umani, come appunto accertato in Yemen?
Se di mezzo ci sono gli Stati Uniti d’America tutto è concesso. Accade anche quando Bush junior, purtroppo presidente degli States, annunciò che aveva la prova delle armi di distruzioni di massa in possesso di Saddam. Gli credemmo in tanti, compresi i giornali più liberal. Allora, come oggi, era al lavoro la coalizione basata sulle armi di distrazione di massa.
Contro la stupidità di Google, meglio Gogol’ e la buona lettura, che oggi è rappresentata da Anime morte.
Nikolaj Vasil’evič Gogol’, noto come Gogol’, è il più straordinario scrittore ucraino – era nato a Velyki Soročynci -, ma è anche russo perché innamorato di San Pietroburgo, della lingua e soprattutto per l’amicizia con Puškin, ed è pure morto a Mosca, dove è sepolto nel cimitero di Novodevičij, che visitai nel 1989, in occasione della trasferta a Mosca della Scavolini Basket.
Durante i miei primi viaggi nell’allora Unione Sovietica – il promo nel 1987 -, pure con il cuore che batteva forte a sinistra, non ebbi alcun dubbio: le idee di giustizia sociale, uguaglianza, solidarietà e libertà mal si conciliavano con quel governo. Ancor meno, in seguito, con la dittatura di Putin. Siamo in molti a pensarlo così, per fortuna. Sono molti di più, in verità, gli amici di allora che oggi si sono trasferiti, armi e bagagli, al pensiero unico filo NATO e USA.
Bando alle tristezze, respiriamo positivo leggendo Gogol’.
Così l’Enciclopedia Treccani racconta il libro di oggi: Vastissima risonanza ebbe Mërtvye duši (Le anime morte, 1842), in cui G. descrive le peregrinazioni dell’avventuriero Čičikov per la provincia russa. Benché realistica nel suo fondamento, l’opera di G. si distingue da quella di altri realisti russi per la ricchezza dell’inventiva e la bizzarria dell’immaginazione; la sua prosa è intensa, ricca di cadenze ritmiche e di effetti acustici, il linguaggio è sempre smagliante e denso di qualità pittoriche.
…dal marzo 1837 all’estate 1839 (Gogol’) visse quasi stabilmente a Roma. Frequentava la folta colonia di russi che risiedeva in Italia o vi veniva in visita (soprattutto famiglie aristocratiche vicine al cattolicesimo), ammirava rovine, paesaggi, chiese (le forme del barocco romano non sarebbero rimaste senza esiti nella sua arte ), e lavorava alle Anime morte, iniziato nei primi mesi del 1837
Nel settembre 1839 tornò in Russia… Nel maggio 1840 partì nuovamente alla volta dell’Italia; da lì, l’anno seguente, portò con sé in patria la redazione definitiva della prima parte delle Anime morte. Quando, nel 1842, il libro vide la luce, la Russia riconobbe a gran voce in Gogol’ il suo scrittore.
Gogol’ conobbe la censura, che – dagli zar ai sovietici  a Putin – fa da sempre compagnia ai russi. La censura zarista trasformò il titolo della prima edizione da Anime morte a Le avventure di Čičikov.
Pavel Ivanovič Čičikov, arrivista senza scrupoli, ma di inoffensiva apparenza, viaggia attraverso la Russia con la sua carrozza, il cocchiere Selifan e il servo Petruska per comprare a poco prezzo anime morte, i nomi dei contadini morti o fuggiti, ma ancora a carico dei proprietari. Il suo diabolico piano è di servirsene per ottenere le assegnazioni di terre concesse a chi dimostra di possedere un certo numero di servi della gleba. In realtà, le vere anime morte non sono i contadini di cui Čičikov va a caccia, ma i vivi che egli incontra, i proprietari terrieri, figure grottesche e patetiche che hanno ormai cancellato la loro umanità, trasformandosi in una galleria di vizi sordidi e ripugnati. Il romanzo è un affresco della Russia rurale, una discesa agli inferi nella provincia vista come inesauribile campionario di grettezze
Ho pensato che oggi quei “proprietari terrieri” potrebbero essere i mercanti di armi, di quelle armi che adesso  – lo ha votato martedì la Commissione Finanze del Senato – possono contare sull’esenzione dell’Iva e delle accise a chi vende beni e servizi militari a un paese europeo coinvolto “in uno sforzo di difesa“, come da indicazione dell’ineffabile  Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea.
In verità ho pensato di peggio: che queste anime morte si sarebbero trovate bene, oggi, a Palazzo Chigi. L’ho pensato, sgomento, ascoltando le parole pronunciate giovedì 7 aprile  in risposta a un giornalista, che, finalmente, non ha fatto inchini, ma una domanda in merito alla posizione del governo sul blocco dell’importazione del gas russo, non inchini: “Lei cosa risponde: preferisce la pace o il condizionatore acceso? Se l’Ue ci propone l’embargo del gas, noi saremo ben contenti di seguirla“.
Ma come, l’Ue non siamo anche noi, l’Italia? Lui fa decidere gli altri ed è contento di seguirli. Più che il presidente del Consiglio, mi è sembrato uno zerbino. Coincidenza curiosa: giorni fa ho letto il commento di un lettore di un quotidiano: “Draghi è il miglior presidente del Consiglio degli ultimi trent’anni, decide e gli altri lo seguono“. Puntuale è arrivata la smentita, firmata dallo stesso Migliore.
Sì, meglio leggere il libro di Gogol’, tradotto da Emanuela Guercetti.
Anime morte, di Nikolaj Vasil’evič Gogol’ (Garzanti)

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