1 aprile 2022
PESARO – Sette giorni fa, recensendo La gatta di Varsavia, ho proposto due temi: le durissime parole di papa Francesco al parlamento e al governo italiano che hanno scelto di aumentare del 2 per 100 le spese militari (“Siete pazzi”) e la guerra in Yemen, dimenticata, anzi cancellata, come sostiene Oxfam.
E mi sono chiesto, ma non avevo dubbi: cosa faranno per censurare il Papa? Facile: lo hanno censurato!
In prima fila il Tg1 che fa vergognare di dovere pagare il canone. La direttrice Monica Maggioni ha tenuto fede al suo soprannome: la giornalista embedded, oggi così tanto “aggregata” al governo Draghi, alla NATO e agli Stati Uniti d’America, da ignorare il Papa.
E i giornaloni, quelli che hanno arruolato tutti i soldatini per linciare il professor Orsini, come hanno informato sul “pazzi” rivolto da Francesco al governo e al parlamento?
Il titolo di apertura del Corriere della Sera sembra sbeffeggiare il Papa: Biden e la Ue: più armi a Kiev
Nessun titolo, e quindi nessun articolo, in prima pagina. A pagina 15, un “francobollo”: la foto del papa e tre righe con il titolo: “Spese militari al 2 per 100, mi vergogno”. Un riquadro in una pagina intera dedicata a: “Vuoi combattere per l’Ucraina? Chiama l’ambasciata in Vaticano”. Un giornalismo così farebbe la felicità di Putin.
la Repubblica di venerdì 25 marzo: il titolo di apertura è Uniti contro Putin, accompagnato da una grande foto con Draghi, Macron, Stoltenberg, Erdogan e Biden che sorridono. Ma che avranno da sorridere? In seconda pagina un titolo inquietante: L’avvertimento di Biden a Putin: “Reagiremo ad attacchi chimici”. Visti i precedenti – le famose armi chimiche in possesso di Saddam, pretesto per l’invasione dell’Iraq e ovviamente mai trovate – c’è da essere preoccupati della presenza di due Stranamore al Cremlino e alla Casa Bianca. Però la Repubblica dedica ampio spazio al gas… C’è l’intesa: forniture americane per affrancare l’Europa. Eh già, quando si tratta di affari gli americani non perdono un colpo. E le parole del Papa? A pagina 14, in un piccolo spazio a una colonna incastrato in un lungo articolo su M5S che mina il governo perché Conte chiede che si voti no all’aumento delle spese militari. Assai più grande, in taglio basso, lo spazio dedicato a Orsini, con
uno dei titoli degni della nuova Repubblica: La Rai straccia il contratto del filo-Putin Orsini.
La Stampa va sull’usato sicuro – Biden che avverte Mosca sulle armi chimiche – ma in prima pagina ospita diversi articoli, compreso quello su Draghi che replica a Conte: “Sulle armi non torno indietro”, ma per trovare le parole di Papa Francesco dobbiamo arrivare a pagina 14. Sono pubblicate nello spazio dedicato a Il dibattito.
Questi campioni del giornalismo, che con la complicità delle rassegne stampa di radio e tv, predicano quotidianamente a sostegno della democrazia e della libertà, hanno sempre ragione, Ieri, quando accusavano Berlusconi di ledere la libertà cancellando fior di giornalisti; oggi che il giornalismo lo cancellano loro. Ah, che Berlusconi censurasse era la pura verità, ma se l’invoca e la fa mettere in pratica il PD? Zitti e mosca e… Washington.
A proposito del PD: ogni giorno ne regala una indimenticabile. L’ultima è di Alessandra Moretti, europarlamentare (già… ma sì scherzate pure, anzi scher…ate perché Moretti non vuole la Z in quanto esibita sui mezzi militari russi. Sabato scorso Moretti ha pubblicato un tweet: Gli stati federali tedeschi della Bassa Sassonia e della Baviera annunciano sanzioni penali per chi userà il segno Z nei luoghi pubblici. Nessuna equidistanza e totale condanna per l’aggressione di #Putin. Facciamo lo stesso in tutta Europa. @eurodeputatipd @pdnetwork
Attenti, allora, ad andare a vedere un film di Zorro, a leggere Zagor, ad acquistare Pianeta Z. La città invisibile, il libro di Leonardo Dini e di Maria Zdrenyk, peraltro ucraina, a guidare una Bmw Z4. Ovviamente niente acquisti da Zara e al macero gli abiti firmati Zegna. Ed eliminate immediatamente dalla vostra libreria Così parlò Zarathustra, alla faccia di Friedrich Niet…sche, ma anche il disco con l’omonimo poema sinfonico composto da Richard Strauss.
Insomma, tanti buoni motivi per fare come Totò ed Eduardo: una pernacchia di cuore ad Alessandra Moretti.
Il secondo tema che avevo proposto è lo Yemen.
Se non fosse una questione maledettamente seria, ci sarebbe da ridere. Si sono accorti che in quella zona c’è una guerra d’aggressione perché non lontano dal circuito che ha ospitato il gran premio automobilistico di Formula 1 è arrivato un missile che ha centrato un deposito petrolifero dell’Aramco, società saudita “che è sponsor del gran premio” si sono affrettati a raccontare gli inviati di SkySport, apparsi preoccupati perché l’accaduto rischiava di fare saltare il gran premio.
Radio, Tv e giornali che per lungo tempo hanno ignorato cosa accade in Yemen, evitando di raccontare di migliaia di vittime centrate anche dalle bombe di produzione italiana e della carestia che fa morire di fame i bambini, si sono scatenati, angosciati all’ipotesi della cancellazione del Gran Premio.
Un motivo di positività me lo hanno regalato le parole di Matteo Renzi. Con tutto il male che ho pensato, e penso, dell’ex sindaco di Firenze, devo dargli atto – per la seconda volta in poche settimane – di essere uno dei pochi politici che non si sono fatti prendere dall’emotività, affrontando l’invasione dell’Ucraina.
“Noi siamo politici e oltre a emozionarci per le parole di Zelens’kyj abbiamo il compito di trovare una soluzione e la soluzione è una tregua. E la tregua va fatta con i russi. C’è un colpevole, la Russia, e c’è un Paese aggredito, l’Ucraina. Dopodiché se vuoi risolvere il problema devi a tutti i costi fare un accordo e per farlo l’Europa deve valorizzare di più questa capacità diplomatica che nell’ultimo periodo non è emersa come avrebbe potuto e dovuto. Perché senza accordo continua la guerra e con la guerra continuano i morti”. Applausi convinti.
Solo fischi, invece, per Enrico Letta, che, come sempre accade ai Democratici, non sa o non vuole andare oltre le frasi a effetto. Ospite a Dimartedì, su La7, Letta II ha sciorinato la sua analisi: “Putin ci ha già molto lavorato sull’Italia. C’è un sostrato di filoputinismo nel nostro Paese che io trovo impressionante. Questo è cominciato negli anni scorsi. Qui c’è proprio la responsabilità di scelte politiche. Ci sono state scelte nel passato che hanno reso l’Italia un Paese che guardava Putin. Per quello che mi riguarda, i nostri punti di riferimento sono stati sempre l’Ue, Bruxelles, gli altri Paesi europei e il rapporto con gli Usa. Questo è il punto fondamentale del nostro Paese”.
Un rapporto basato sul rapporto tra il padrone e il servo dall’altra. Chi è il padrone? Chi è il servo?
Il 3 febbraio 1998 un aereo militare americano tranciava un cavo di una funivia in Val di Fiemme, facendo precipitare una cabina che aveva a bordo venti persone (il manovratore e 19 sciatori); tutte morte. I due piloti vennero assolti dalla giustizia militare americana; la giustizia del padrone. Il servo tacque.
Enrico Letta dovrebbe sapere che i militari americani hanno fatto di tutto per depistare le indagini. Scrive il quotidiano ildolomiti.it: Arrivati ad Aviano, i militari si sono infatti prodigati per eliminare ogni prova. I video spettacolari dello spericolato volo, filmato dai marines a bordo, vengono eliminati; la scatola nera sparisce, mentre lo smontaggio del velivolo in procinto d’essere attuato quando per gli inquirenti trentini si presentano alla base statunitense…
Io proverei vergogna ad avere quale riferimento questi Stati Uniti d’America.
Meglio un altro esempio: Gino Strada.
Feltrinelli ha pubblicato il libro poco meno di un anno dopo la scomparsa del fondatore di Emergency.
La penultima di copertina è una splendida anticipazione dei contenuti:
Sono un chirurgo. Una scelta fatta tempo fa, da ragazzo. Non c’erano medici in famiglia, ma quel mestiere godeva di grande considerazione in casa mia. Fa il dutur l’è minga un laurà, diceva mia madre, l’è una missiùn. Un’esagerazione? Non so, ma il senso di quella frase me lo porto ancora dentro, forse mia madre era una inconsapevole ippocratica.
Sarei stato il primo a laurearmi in famiglia, una famiglia di operai…
Vivevamo in via Lacerra, uno dei quartieri più popolari di Sesto San Giovanni. La chiamavano la “Stalingrado d’Italia”: le grandi industrie, gli operai, il partito, il passato partigiano.
A Sesto si faceva politica per forza. Erano gli anni dell’immediato dopoguerra, c’era in giro aria di ricostruzione, lo capivamo anche noi bambini, che oltre ai fumi delle acciaierie respiravamo etica del lavoro, responsabilità, senso di comunità.
Una sera, mio padre mi raccontò una storia che per me è ancora la storia della guerra della mia città. Il 29 ottobre 1944, un bombardiere americano scaricò ottanta tonnellate di esplosivo sul quartiere di Gorla, poco lontano da Sesto. L’obiettivo era per l’appunto la Breda, ma ci fu un errore di trascrizione o di interpretazione delle coordinate in codice e, quando il pilota si accorse di non potere riprendere la direzione giusta, aveva tutte le bombe innescate. Invece di scaricarle sulle campagne della Bassa, decise di lanciarle su un quartiere abitato. Una delle bombe colpì la scuola elementare Francesco Crispi: morirono 184 bambini, 14 insegnanti, la direttrice della scuola, 4 bidelli e un’infermiera. 614 morti in tutto il quartiere.
Leggendo la storia, a pagina 14, il mio pensiero è volato in un istante a Un’ombra negli occhi, film danese che ho visto pochi giorno fa su Netflix: Ole Bornedal racconta quella che doveva essere l’Operazione Cartagine, l’attacco aereo degli Alleati alla sede della Gestapo. Un attacco sollecitato dagli stessi partigiani danesi. Però l’effetto collaterale fu che invece di colpire la Gestapo fu centrata una scuola francese. Un massacro, come nella scuola di Sesto. Li chiamano, ancora oggi, effetti collaterali. Sono sempre a danno dei civili. Era il 21 marzo 1945.
Allora, come oggi, solo la pietà di gente come Gino Strada aiuta a mitigare gli “effetti collaterali”.
La sua missione, anzi la sua passione l’ha portato lontanissimo. Gli ha fatto conoscere la guerra, il caos dell’umanità quando non ha più una meta. In Pakistan, in Etiopia, in Thailandia, in Afghanistan, in Perù, in Gibuti, in Somalia, in Bosnia, dedicando tutta l’esperienza in chirurgia d’urgenza alla cura dei feriti. Poi nel 1994 nasce Emergency e dopo arriva il primo progetto in Ruanda durante il genocidio. Emergency arriva in Iraq, in Cambogia e in Afghanistan, dove ad Anabah, nella Valle del Panshir, viene realizzato il primo Centro chirurgico per vittime di guerra.
Questo libro racconta l’emozione e il dolore, la fatica e l’amore di una grande avventura di vita, che ha portato Gino Strada a conoscere i conflitti dalla parte delle vittime e che è diventata di per se stessa una provocazione.
Da Kabul a Hiroshima, una narrazione appassionata e avventurosa delle radici che hanno ispirato Gino Strada, giorno dopo giorno, viaggio dopo viaggio. Ma anche una riflessione radicale sull’abolizione della guerra e sul diritto universale alla cura.
Il racconto dell’impegno e delle esperienze che lo hanno condotto da giovane chirurgo di Sesto San Giovanni fino ai Paesi più lontani, per seguire l’idea che portava avanti con la sua passione e con EMERGENCY: salvare vite umane e lottare per i loro diritti.
Curare le vittime e rivendicare i diritti, appunto una persona alla volta: ne era convinto Gino, che dalle sale operatorie in Afghanistan a quelle del Centro Salam di cardiochirurgia in Sudan ci ha insegnato che l’unica medicina possibile è quella che si fonda sull’uguaglianza e sull’umanità. Persona dopo persona, diritto dopo diritto.
Sono i Gino Strada i meravigliosi esempi che, pure in un periodo così buio come quello che stiamo vivendo, inducono a non perdere la fiducia.
Questo libro sostiene Emergency. Acquistatelo, leggetelo. Grazie!
Una persona alla volta, di Gino Strada (Feltrinelli)
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