Un libro alla settimana: Guerra e pace

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18 marzo 2022

0001PESARO – Nella rubrica del 4 marzo, dedicata al libro Spartak  Mosca, scrissi: …viene in mente che, prima della NATO, delle sanzioni, Putin dovrebbe cadere per mano del suo popolo, magari con manifestazioni di milioni di persone per dire no alla guerra e all’invasione dell’Ucraina. E contro la dittatura di Putin, che è al potere dal 31 dicembre 1999.
Era, è, un desiderio, un auspicio, un sogno.
Eppure alcuni giorni fa, a Mosca, nella sede della televisione russa, è accaduto un episodio che ha dato speranza al mio sogno. Il merito è di Marina Ovsyannikova, la giornalista dipendente della Tv di Stato, che durante la diretta di un telegiornale ha fatto un’irruzione nello studio esibendo un cartello contro la guerra.
Chissà se il messaggio di Marina sarà raccolto dal popolo russo, dai suoi colleghi, la maggior parte, per convenienza o per viltà, allineati al pensiero unico a favore di Putin.
Più o meno come in Italia, dove – lo scrivo con amarezza –  non vedo tanti Marina Ovsyannikova; anzi, ne vedo moltissimi che fanno l’opposto: quasi tutti schierati – partiti compresi, e fra questi il più vergognoso è M5S, che con un po’ di poltrone ha dimenticato, anzi cancellato i suoi valori, i suoi propositi – contro Putin, a favore degli aggressori storici di altri Paesi (leggi NATO e pensi subito a Serbia e Iraq). Non che ci si debba schierare con Putin, per carità! Tutt’altro. Mai con un dittatore. Ma come dimenticare le bugie, le mistificazioni degli americani e della NATO? L’ultima, nella sua notoria esibizione di uomo sulla luna, l’ha confessata un paio di giorni fa Joe Biden, che ha raccontato come da anni gli USA stiano armando l’Ucraina. Alla faccia degli impegni presi in passato. E che dire della NATO che prima giura e spergiura che le sue truppe non sono mai entrate in Ucraina e poi denuncia la morte di alcuni suoi militari nel bombardamento di una base ucraina a pochi chilometri dalla Polonia?
Per fortuna, però, c’è ancora gente che ragiona con il cervello. Leggi Marco Travaglio, che stamattina ha concluso così il suo impeccabile editoriale su Il Fatto QuotidianoResta da spiegare la malattia mentale che ha portato tutti i partiti ad aumentare la spesa militare italiana da 26 a 38 miliardi l’anno, quando non c’è un euro neppure per il caro-bollette.
Non solo sulle pagine dei giornali o durante le dirette radiotelevisive, però: il pensiero unico è all’opera anche in strada. Mentre facevo spesa in un supermercato mi è capitato di ascoltare: “Serve la No fly zone, solo così riusciremo a fermare Putin!”. Proprio così: riusciremo!
Una frase analoga l’ho captata domenica scorsa entrando nella Vitrifrigo Arena per la partita tra VL e Brindisi, dove un tempo si discuteva solo degli errori degli allenatori (“al posto suo non avrei sbagliato quel cambio…. Ah, ci fossi io in panchina non si sarebbe perso…” e oggi di come sconfiggere i russi.
Da sempre siamo tutti Commissari tecnici della Nazionale di calcio, che a Pesaro significa essere allenatori della Victoria Libertas di pallacanestro. Da due anni siamo tutti esperti di virus, pronti a dire la nostra sul Covid-19 e le sue varianti, sulle prime, le seconde e le terze dosi di vaccini, sui pro e i contro di Pfizer, Moderna e AstraZeneca, sui NoVax cattivi e sui SìVax buoni.
Oggi siamo diventati tutti scienziati militari. E ovviamente ne capiamo più e meglio dei militari di carriera, che poi sarebbero i veri esperti del settore.
Dunque, di questi tempi, anche al supermercato, al palazzo dello sport e in strada, siamo diventati esperti di “No fly zone”, ovvero di zona aerea vietata ai voli.
Come invocato da Zelens’kyj, il presidente ucraino che da giorni chiede di dichiarare il suo Paese “No fly zone”, per impedire i voli militari russi. Con la conseguenza che gli aerei che intervenissero per obbligare i russi a lasciare lo spazio aereo ucraino entrerebbero in conflitto con l’aviazione di Putin. Il resto lo possiamo immaginare.
È comprensibile che Zelens’kyj faccia di tutto e di più per salvare l’Ucraina, ma la domanda più elementare è se l’Ucraina si salverebbe da una terza guerra mondiale. Perché una No fly zone sarebbe una bella spinta per accelerare il conflitto.
Agli esperti da supermercato e da palazzo dello sport, ai soloni del giornalismo schierati senza se e senza ma con la NATO, mi permetto di rispondere con le parole dl generale Fabio Mini, che ha decisamente assai più esperienza di tutti noi: con un articolo dal titolo Il boomerang della No Fly zone pubblicato domenica 13 marzo su Il Fatto Quotidiano, Mini ha scritto: …Si può essere certi che se fosse adottata dalla Nato o da singoli Paesi fregandosene dell’Onu, cosa già accaduta, si troverebbero a dover combattere contro la Russia, con conseguenze facilmente immaginabili… Comunque vada, questa non è la strada per salvare l’Ucraina, ma solo per affossarla. Paradossalmente, chi si oppone a tale misura vuole molto più bene al popolo e alla nazione ucraina dei suoi attuali governanti.
In poche parole una risposta intelligente alle richieste pericolosissime di Zelens’kyj e di chi le sostiene, anche in Italia.
L’invasione russa dell’Ucraina, perché di questo si tratta, e le scelte di Putin con la complicità della NATO (in prima fila gli Stati Uniti) hanno dato a Zelens’kyj la credibilità che aveva perso nei due anni precedenti, in coincidenza con la pandemia di Coronavirus.
Il 12 agosto 2021 veniva pubblicata un’inchiesta sulla situazione Covid-19 in Ucraina: È l’ultimo paese europeo per percentuale di vaccinazioni: solo il 5 per 100 ha ricevuto  tutte le dosi di vaccino. Le prime somministrazioni sono avvenute il 24 febbraio, in netto ritardo sul resto d’Europa. Secondo un sondaggio di Research and Branding il 60 per 100 degli ucraini era contrario alla vaccinazione. Reminiscenze sovietiche, pare. Eppure il Covid-19 ha colpito duramente l’Ucraina e la sua debole economia. I sondaggi danno in caduta la fiducia nei confronti di Zelens’kyj, che pure fu eletto con il 73 per 100 dei voti e ha la maggioranza assoluta in Parlamento. Secondo gli esperti la pandemia avrebbe fatto emergere tutte le carenze del sistema sanitario ucraino, da anni poco tutelato dalla politica del governo.
Zelens’kyj, diventato famoso perché protagonista in Tv, prima come concorrente poi come comico – e in Occidente, in particolare in Italia, prima dell’invasione, si è scritto di lui come di un comico, con gli stessi toni usati per irridere Beppe Grillo -, fu votato con due punti importanti nel programma di governo, ricorda fanpage.it:
Trovare il modo di fare pace con la Russia senza rinunciare alla Crimea (riannessa dal Cremlino) e al Donbass ribelle; e ripulire la politica ucraina dal malaffare e dagli oligarchi, i ricconi che controllavano le leve dell’economia nazionale e le manovravano a piacimento. Bisogna onestamente dire che Zelensky ha trovato una situazione vicina al disastro, e ancora oggi l’Ucraina è, con la Moldavia, il Paese più povero d’Europa. Non gli si potevano chiedere miracoli. Infatti la pace con la Russia, come ben sappiamo, resta un sogno e, par di capire, lo resterà a lungo.
Ovvio che Zelens’kyj (continuiamo a scriverlo all’ucraina) non volesse essere invaso, ma molte delle sue richieste sono pericolosissime prima di tutto per il suo Paese e poi per il resto del mondo.
Purtroppo, vuole metterci il becco anche la Corte penale internazionale dell’Onu che ha aperto un’indagine sull’invasione dell’Ucraina iniziata tra il 23 e il 24 febbraio 2022. La Corte vuole indagare sui presunti crimini di guerra commessi dalla Russia, quindi da Putin.
Ma in che mondo vive la Corte penale internazionale? Quante indagini ha aperto nel tempo per accertare i crimini di guerra e i mandanti? La guerra è sempre un crimine, chi la pratica è sempre un criminale, ma i fatti indicano che per la Corte non è sempre così, altrimenti alla sbarra ci sarebbero andati Bush jr, Blair, Clinton, Schröder, Obama e i responsabili della Nato.
Ma anche alla Corte penale internazionale sembra in vigore la stupidità del pensiero unico.
Vigente anche in Italia, dove si è letto e ascoltato che “non si deve trattare con Putin”.
E con chi se è lecito, visto che Putin, magari anche il criminale Putin, è una parte in causa?
Yitzhak Rabin, primo ministro d’Israele, è passato alla storia per avere provato a fare la pace con i palestinesi e per essere stato assassinato da Ygal Amir, estremista ebreo che non voleva la pace. L’ex capo di stato maggiore di Tsahal, l’armata israeliana, non esitò a dichiarare: “La pace si negozia con i nemici e la faremo ad ogni costo”.
Sembra una storia sconosciuta a chi va in Tv a urlare: “Non si tratta con Putin, noi abbiamo altri valori”.
Abbiamo altri valori, ci dicono, ma, bombardando l’Iraq, la Jugoslavia, la Libia e altri paesi, quei valori li abbiamo cancellati. Salvo rispolverarli quando a bombardare sono gli altri.
Oggi l’unico valore è quello stupendamente descritto da una locuzione latina: perinde ac cadaver, nello stesso modo di un cadavere. Così la traduce Treccani: …la sottomissione assoluta alla regola e alla volontà dei superiori, con rinuncia alla propria personalità.
Un esempio l’ha fornito l’Orchestra Filarmonica del Galles , che ha cancellato dal concerto in programma stasera, venerdì 18 marzo, nella Saint David’s Hall della capitale gallese, l’Ouverture 1812 di Pëtr Il’ič Čajkovskij, il meraviglioso compositore russo.
Le motivazioni che hanno spinto alla cancellazione del brano sono quanto di più stupido abbia letto. Le scrivo come le riporta il sito www.cardiffphilharmonic.com:
In light of the recent Russian invasion of Ukraine, Cardiff Philharmonic Orchestra, with the agreement of St. David’s Hall, feel the previously advertised programme including the 1812 Overture to be inappropriate at this time. (Alla luce della recente invasione russa dell’Ucraina, la Cardiff Philharmonic Orchestra, con l’accordo di St. David’s Hall, ritiene che il programma precedentemente pubblicizzato, inclusa l’Ouverture 1812, sia inappropriato in questo momento).
Capite? Un brano composto 142 anni fa è ritenuto “inappropriato”.
Però nel programma del concerto gallese resta The Cowboys Overture, la musica del film con John Wayne, notoriamente un guerrafondaio, uno che viveva – come nei film – con la pistola in mano, il peggiore degli esempi (basti pensare a Berretti verdi, del 1968, ambientato in Vietnam, dove gli americani hanno massacrato gente di tutte le età), che inducono a detestare gli Stati Uniti d’America.
La stupidità del pensiero unico occidentale è a senso unico. Come dimostra la richiesta di Maria Cristina Messa, ministro dell’Università, che ha ordinato agli atenei italiani di sospendere le collaborazioni con gli enti russi. È comprensibile quando si tratti di collaborazioni che potrebbero fornire “vantaggi militari”, ma la risposta migliore l’ha fornita il professor Luca Fazzi, docente di Scienze politiche nell’università di Trento: “Rispetto le decisioni dell’ateneo, ma cultura, musica e sport dovrebbero essere ponti, non muri”.
Un ponte fondamentale è leggere il libro di Lev Nikolàevič Tolstòj, Guerra e pace.
Eridano Buzzarelli, autore dell’introduzione, scrive: Guerra e pace non invecchia, conserva nei secoli, come i versi di Omero e di Dante, la sua forza, la sua freschezza, la sua verità anche storica.
In Guerra e pace Lev Nikolàevič, che era nato a Jàsnaja Poljàna, “radura serena”, a pochi chilometri da Tula, città della Russia europea, scrive più volte della capitale ucraina  citando soprattutto il reggimento di granatieri di Kiev.
Non in questo caso…
La pellegrina si calmò e, ricondotta a discorrere delle sue cose, raccontò per le lunghe d’un certo padre Amfiloco, il quale era di così santa vita, che dalle mani gli usciva odore d’incenso, e di certi monaci di sua conoscenza, che nell’ultimo suo passaggio da Kiev le avevano dato le chiavi di quei sotterranei, e lei, preso con sé qualche biscotto, due giorni e due notti aveva trascorso là nei sotterranei, insieme con le mummie di quei santi. “Mi rivolgo a uno, gli faccio le mie preghiere, e m’accosto a un altro. Schiaccio un sonnellino, poi di nuovo vado a inginocchiarmi: e c’era, madre mia, un silenzio, una pace, una grazia celeste, che neppure ti veniva più voglia di riaffacciarti in questo mondo.
Potrebbero essere le parole pronunciate da chi si è dovuto nascondere nei sotterranei della metropolitana di Kiev nel timore dei bombardamenti russi.
Guerra e pace (Vojna i mir in russo), è un classico della straordinaria letteratura russa, forse il più famoso di tutti  romanzi russi d’ogni epoca.
L’oggetto del romanzo è la vita dei popoli e dell’umanità. È la storia che s’intreccia tra due famiglie nobili, i Bolkonskij e i Rostov, e quella di Pierre Bezuchov, l’alter ego di Tolstoj. Le guerre e la pace, gli eventi storici e le vicende private compongono un grande quadro, un affresco, un grande murale, un фреска (freska), che rappresenta l’epoca di massimo splendore dell’impero russo. Ma allo stesso tempo – come racconta ancora la quarta di copertina – ne mette in discussione la grandezza. La narrazione concede spazio ai grandi personaggi, ma anche ai destini degli umili.
L’edizione che vi proponiamo, a cura di Leone Pacini Savoj e Maria Bianca Luporini, con  la già citata introduzione di Eridano Bazzarelli, uno dei maggiori slavisti italiani, è composta da 1463 pagine. Il nostro augurio è che, quando avrete terminato di leggerla, tra Ucraina e Russia si parlerà solo di pace (mir), non più di guerra (voyna).
Buona lettura, naslazhdaytes’ chteniyem.
Guerra e pace, di Lev Nikolàevič Tolstòj (BUR, grandi classici Rizzoli)

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