Un libro alla settimana: Spartak Mosca

di 

4 marzo 2022

PESARO –  “Non solo essere un russo vivente è una colpa oggi in Italia. Ma anche essere un russo morto, che quando era vivo nel 1849 è stato condannato a morte perché aveva letto una cosa proibita, lo è. Che una università italiana proibisca una corso su un autore come Fëdor Dostoevskij è una cosa che io non posso credere”. Parole di Paolo Nori, scrittore e traduttore che, ospite dell’Università di Milano Bicocca,  avrebbe dovuto tenere un ciclo di quattro lezioni dedicate a   Dostoevskij sul tema “La grande Russia portatile. Viaggio sentimentale nel paese degli zar, dei soviet,  dei nuovi ricchi e della più bella letteratura del mondo”.
Nori, che l’anno scorso ha pubblicato il libro “Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij”, ha raccontato che, tornato a casa, ha trovato una email certificata con cui l’ateneo meneghino lo informava della “decisione presa con la rettrice di rimandare il percorso su Dostoevskij per  evitare ogni forma di polemica soprattutto interna in quanto è un momento di forte tensione”.
La Bicocca ha fatto marcia indietro, ma ha chiesto a Nori di occuparsi anche di uno scrittore ucraino. Una follia! Il trionfo della stupidità. Ma questi sono i tempi che viviamo. Colpa di Putin e di chi lo ha scientemente spinto a invadere l’Ucraina. La guerra è sempre sbagliata, ma purtroppo gli uomini sembrano incapaci di vivere senza scatenarla.
Contro queste follie, contro la guerra e contro la stupidità del pensiero unico, della caccia alle streghe cara allo stalinismo, ma anche al maccartismo, la nostra rubrica settimanale è una provocazione, voluta.
Quanto accaduto a Nori, che alla stupidità ha risposto con l’unica arma possibile, quella dell’intelligenza (“Non condivido questa idea che se parli di un autore russo devi parlare anche di un autore ucraino, ma ognuno ha le proprie idee. Se la pensano così, fanno bene. Io purtroppo non conosco autori ucraini, per cui li libero dall’impegno che hanno preso e il corso che avrei dovuto fare in Bicocca lo farò altrove…”.), non è un fatto isolato.
0001Il sindaco di Milano, Sala, che è anche presidente della Fondazione Teatro alla Scala, ha deciso che Valery Gergiev, il famoso direttore russo, non potrà dirigere la rappresentazione di sabato 5 marzo de La Dama di Picche, opera composta da Pëtr Il’ič Čajkovskij, perché non ha voluto fare una dichiarazione contro Putin e contro la guerra. Non troviamo l’aggettivo per definire la decisione di Sala e la solidarietà che gli ha espresso il ministro della Cultura (sic) Franceschini, esponente del PD, un partito che ha troppi scheletri nell’armadio per giudicare quelli nascosti negli armadi altrui.
L’aspetto più stupido è che l’opera è in lingua russa e i cantanti protagonisti sono quasi tutti russi, e il direttore sarà  il 27enne Timur Zangiev, che, nato in Ossezia, ha studiato a  Mosca e da anni collabora con Gergiev.
Che per entrare alla Scala sia ai cantanti che al pubblico verrà chiesto di mostrare la “certificazione verde” che autentica di avere ricevuto tre dosi di “Putin boia”?
Purtroppo, in Italia impera la stupidità del pensiero unico. Come definire altrimenti chi ha presentato un’interrogazione alla Commissione di vigilanza Rai contro il corrispondente da Mosca Marc Innaro, ritenuto colpevole, guarda caso da un parlamentare del PD, di non essere allineato e avere espresso considerazioni che riportano fatti, non opinioni, sull’atteggiamento degli Stati Uniti d’America e dei loro seguaci nella NATO.
Basta guardare la cartina geografica per capire che negli ultimi trent’anni chi si è allargato non è stata la Russia, è stata la Nato”, ha detto Innaro.
Dove è il falso? Non c’è, ovvio, basta guardare, appunto, le carte geografiche. Però non si deve dire, altrimenti la democratura e i suoi servi si mettono  subito all’opera.
Come è accaduto puntualmente contro Barbara Spinelli, “colpevole” di avere pubblicato su Il Fatto Quotidiano, un articolo di una lucidità e un’evidenza comprovata dai fatti che, se Putin ha invaso l’Ucraina, altri hanno fatto di tutto per condizionarne le scelte. Barbara Spinelli è stata attaccata vergognosamente da politici (forse più esatto politicanti) e soprattutto giornalisti. C’è addirittura chi si è spinto ad affermare che il padre Altiero, uno dei grandi fondatori dell’Europa, non avrebbe condiviso quanto scritto dalla figlia. Perché mai? Spinelli era un uomo libero, non un servo.
Ed è pazzesco, anzi vergognoso, che i laici, che come stella polare dovrebbero avere i fatti, stiano prendendo lezione dal Vaticano, che definisce quanto sta accadendo in Italia la “militarizzazione del pensiero unico”. La si riscontra,  appunto, nella stampa che si dichiara libera e invece  giudica ogni diversa valutazione come “filo Putin”.
Il cardinale Parolin, segretario di Stato del Vaticano, ha sottolineato che “le aspirazioni di ogni paese devono essere oggetto di una riflessione comune”.
Mercoledì 23 febbraio, sull’Osservatore Romano, Andrea Tornielli ha scritto: La prospettiva di nuova guerra in Europa è un incubo per tutti, e in particolare per la generazione che ha conosciuto le speranze innescate dalla caduta del Muro di Berlino nel 1989. Dopo gli anni della distensione, continuando ad applicare al nuovo mondo i vecchi schemi militari, prima è tornata la Guerra Fredda, poi la guerriglia e ora siamo alle soglie della guerra guerreggiata. Nei giorni scorsi anche Romano Prodi ha ricordato che nel 2008 Francia e Germania votarono contro l’adesione dell’Ucraina alla Nato perché avrebbe rappresentato un atto ostile verso la Russia. La responsabilità della guerra è sempre di chi la fa invadendo un altro Paese. C’è però da domandarsi: qual è la strada per trovare una soluzione pacifica? Va ricercata dentro gli schemi bellici delle alleanze militari che si espandono e si restringono o piuttosto in qualcosa di nuovo in grado di farsi anche carico degli errori del passato (che non stanno da una parte sola) restituendo una prospettiva realistica alla speranza di una diversa convivenza fra i popoli?
Anche Tornielli e l’Osservatore Romano servi di Putin?Invece “la militarizzazione del pensiero unico” sta facendo sì che prevalga sulla carta stampata, in radio e in Tv, il sostegno a uno degli interessi in ballo: quello della NATO di espandersi a Est.
Il 15 febbraio scorso, Der Spiegel, settimanale tedesco che non è certo al servizio di Putin, con un articolo firmato da Klaus Wiegrefe, ha raccontato fatti che qualcuno non vuole comprendere. Prima di tutti, Mario Draghi. Il presidente del Consiglio, intervenendo martedì in Senato, ha invitato a “guardare al presente e pensare al futuro. E dimenticare il passato”. Perfetto esecutore di Simmo ’e Napule, paisa’, la canzone di Fiorelli e Valente che comprende… Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdàmmoce ’o passato).
 Wiegrefe ha ricordato che “È assurdo ignorare che, nel 1990, l’allora ministro degli Esteri tedesco Gencher garantì: “Qualunque cosa accada al Patto di Varsavia, non ci sarà alcuna espansione del territorio della NATO a est e più vicino ai confini dell’Unione Sovietica”. E quando Gorbaciov  affermò che l’espansione della NATO sarebbe “inaccettabile”, l’allora Segretario di Stato americano Baker rispose: “Siamo d’accordo con questo.
Impegno puntualmente smentito da chi è abituato a nascondere le proprie decisioni con le menzogne. Basti pensare all’Iraq invaso perché “in possesso di armi di distruzione di massa” (dichiarazioni congiunte di Bush Jr e Blair); mai trovate, ovviamente.
Dunque forse non è un caso se il mio sguardo è andato a posarsi sulla copertina di un volumetto – formato 10,5 x 16 – che ho letto anni fa: il racconto di “Storie di calcio e potere nell’URSS di Stalin”.
Mi è sembrato che niente fosse più azzeccato se riferito ai giorni che stiamo vivendo.
Passo dopo passo, siamo arrivati al peggiore epilogo soprattutto per chi ripudia la guerra ma è costretto a pagare colpe non proprie.
Fra questi, anche gli sportivi.
È di lunedì l’intervento a gamba tesa del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, che “Al fine di proteggere l’integrità delle competizioni sportive globali e per la sicurezza di tutti i partecipanti, raccomanda che le Federazioni Sportive Internazionali e gli organizzatori di eventi sportivi non invitino o consentano la partecipazione di atleti e funzionari russi e bielorussi alle competizioni internazionali”.
Le prime a muoversi sono state FIFA e UEFA, la federazione mondiale e quella europea di calcio. Ci è sembrato di ascoltare Nando Martellini e il famoso “Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!”. Sì, campioni del mondo di ipocrisia. Perché la FIFA è la stessa  che, con il contorno di corruzione, tangenti e, peggio ancora, migliaia di vittime, ha voluto a tutti i costi (quelli pagati dagli altri, ovvio) che il prossimo Mondiale di calcio si organizzasse in Qatar: esordio il 21 novembre,  finale il 18 dicembre 2022.
Un anno fa, The Guardian, quotidiano inglese, pubblicò gli esiti di una lunga inchiesta: “Più di 6.500 lavoratori migranti provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka sono morti in Qatar da quando questo Paese ha ottenuto di ospitare la Coppa del Mondo 10 anni fa. I risultati, compilati da fonti governative, indicano che una media di 12 lavoratori migranti provenienti da queste cinque nazioni dell’Asia meridionale sono morti ogni settimana dalla notte di dicembre 2010 quando le strade di Doha erano piene di folle estatiche che celebravano la vittoria del Qatar. I dati provenienti da India, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka hanno rivelato che ci sono state 5.927 morti di lavoratori migranti nel periodo 2011-2020. Secondo l’ambasciata pakistana in Qatar ci sono ulteriori 824 morti di lavoratori pakistani, tra il 2010 e il 2020”.
Ovviamente, CIO e FIFA fingono di non sapere.
I Mondiali in Qatar si giocheranno a fine autunno, in stadi muniti dall’aria condizionata per evitare il caldo torrido e garantire la salute degli atleti, ma per tutto questo si è pagato un prezzo altissimo: la vita dei lavoratori, quasi tutti poveri immigrati.
Partendo da una certezza, anzi da due – “la guerra piace a chi non la conosce” (Erasmo da Rotterdam) e soprattutto “la guerra giusta non c’è” (Gino Strada) – che cancellano la stupidità del pensiero unico – vi propongo alcune righe del libro oggetto dela rubrica di questa settimana. Scrive Mario Alessandro Curletto:
Anche lo Spartak, baciato dal successo in ogni sua impresa sportiva e amato da milioni di cittadini sovietici, cominciò ad avvertire i primi inquietanti segni dell’invidia degli dei.
Al ritorno dalla doppiamente vittoriosa trasferta in Belgio e Francia, la squadra trovò alla stazione Belorusskij la più inattesa delle accoglienze: nessuno tranne parenti e amici con volti perplessi e soprattutto preoccupati. Da giorni a Mosca correva voce che in Europa occidentale non si fosse impegnata abbastanza per tenere alto l’onore del calcio sovietico. La realtà, ossia il fatto che avesse vinto tutte le partite giocate, evidentemente non aveva alcuna importanza. 
Ma non era tutto. Sui giornali erano comparsi articoli in cui si accusavano i giocatori dello Spartak di compiacersi dello stile di vita borghese. E veniva anche indicata la fonte di tale corruzione dei costumi: i fratelli Starostin. Si passava infine a dati concreti, denunciando la scandalosa pratica, vigente all’interno della società Spartak, di pagare  gli atleti. In effetti agli sportivi di livello nazionale il club corrispondeva la somma di 80 rubli mensili, su autorizzazione scritta  del Comitato per la Cultura Fisica. Quest’ultima circostanza i giornali la omettevano.
Legittimamente preoccupati i quattro fratelli si rivolsero  al più altolocato dei loro “protettori” politici, il segretario del Komsomol Aleksandr Kosarev. Questi li ricevette e li rassicurò. Tuttavia egli stesso si mostrò nervoso e inquieto, in contrasto con la sua abituale imperturbabilità. In ogni caso la campagna di stampa contro la famiglia Starostin si interruppe…
Tuttavia non c’era davvero motivo di stare tranquilli. Nel mondo dello sport gli arresti si contavano a centinaia, con capi d’accusa manifestamente inverosimili, dallo spionaggio in favore di potenze nemiche al traffico di valuta.
In verità, testimonianza personale, sarei cauto su quest’ultima accusa. Molti atleti sovietici – mi riferisco ovviamente ad anni dopo – arricchivano lo stipendio con il traffico di valuta e di caviale.
Nel mio libro Dietro i canestri (Minerva Edizioni 2010) racconto quanto accaduto nella prima trasferta moscovita della Victoria Libertas Pesaro. Era il 1987 e alloggiavamo nell’Hotel Ukraina, l’albergo che oggi ha nome hotel Radisson-Royal, ma fino al 1976 era l’albergo più alto al mondo: 34 piani e 198 metri d’altezza. All’Ukraina alloggiavano le delegazioni estere legate al PCUS, il partito comunista sovietico. Mai avrei pensato, allora, che trentacinque anni dopo il suo nome sarebbe stato legato a una guerra.
Dunque, la valuta e il caviale…
Magnifico e Zampolini vengono prelevati da Tarakanov, capitano del CSKA, ufficiale dell’esercito, e Volkov. La Zhigulì rossa di Tarakanov, una Fiat 124 fabbricata a Togliattigrad (località industriale con il nome del segretario dei comunisti italiani) per i benestanti dell’URSS, gira per ore lungo le strade ghiacciate. Domenico e Walter si preoccupano. Tarakanov e Volkov temono di essere seguiti. Rischiano il sequestro del tesoretto in valuta straniera e il ritiro del passaporto. I due consegnano migliaia di dollari ai colleghi. Devono portarli di nascosto in Italia, dove li restituiranno a Sergej e Sasha.
In una camera dell’hotel Ukraina, Ezio Giroli lavora una notte intera per nascondere le banconote nei tubetti dei medicinali, nelle scatole dei cerotti, in quelle dei dentifrici, ovunque. Al posto di frontiera, a Sheremetyevo, si suda freddo, ma l’“operazione” riesce alla perfezione. Una settimana dopo, a Pesaro, i russi sbancano farmacie (facendo incetta di prodotti odontoiatrici), boutique e negozi di dischi. Finiti i “verdoni”, rimediano con pregiato caviale.
Ho pensato molto, in questi giorni, a Oleksandr Volkov, detto Sasha, ucraino pure se nato a Omsk, che una volta tornato in patria è stato più volte parlamentare, ma anche presidente della federazione pallacanestro ucraina e del Comitato per lo Sport. Un campione straordinario ammirato anche in Italia con la maglia di Reggio Calabria, una persona gentile, molto disponibile, come quando mi aiutò a intervistare Sabonis, che non concedeva interviste. Come starà oggi? Dove si troverà con la famiglia?
E mi è venuto in mente Igor, stuntman russo, divertentissimo acrobata cinematografico che conobbi in una trasferta successiva e mi aiutò a conoscere meglio Mosca. Dopo avermi fatto visitare – su mia richiesta – il cimitero di Novodevičij, dove riposano, fra gli altri, Michail Bulgàkov, Anton Čechov, Sergej Ėjzenštejn, Vladimir Majakovskij, Sergej Prokof’ev, Dmítrij Šostakóvič, Konstantin Stanislavskij e tanti altri grandi della musica, della letteratura, del cinema e del teatro, volle superarsi. “Luciano, adesso ti faccio vedere la parte più alta di Mosca!”.
Pensai alla torre di Ostankino, alta più di 500 metri, per le trasmissioni radiotelevisive. Sbagliai. Igor mi condusse in piazza Lubyanka, mostrandomi il palazzo dei servizi segreti, il KGB, dove ha fatto carriera Putin. Ero sorpreso. Mica siamo così in alto, dissi. “Luciano, se entri qui sei così in alto che puoi vedere la… Siberia!”, rispose Igor, sghignazzando.
Poi andammo alla stazione di Kiev, dove arrivava il treno con la sua fidanzata ucraina, figlia di un alto ufficiale dell’Armata sovietica. Irina, il suo nome, se ricordo bene, parlava tedesco; aveva vissuto a lungo in Germania Est. Come Putin, spia a Dresda. Dove saranno oggi Igor e la sua fidanzata? L’ultimo ricordo è una cena in loro compagnia nell’Arlecchino, credo il primo ristorante italiano nella capitale sovietica, e che a Irina non piacquero i tortellini.
Da Mosca a Mosca, anzi allo Spartak Mosca:
Quando la macchina repressiva allestita dall’NKVD (Narodniï Komissariat vnoutrennikh diel: Commissariato del Popolo per gli Affari Interni; ndr) arrivò fino ad Aleksandr Kosarev, arrestato da Berija (Lavrentij Pavlovič Berija, capo della polizia segreta dell’Unione Sovietica sotto Stalin; ndr) in persona, gli Starostin cominciarono ad aspettarsi il peggio da un momento all’altro.
Lo Spartak aveva avuto l’inestimabile onore di far conoscere il calcio a Stalin. Ma non bastò.
Il destino volle che Lavrentij  Berija  coltivasse una passione per il calcio, sport peraltro da lui praticato a discreti livelli in gioventù. Forse anche per questo Berija prese molto sul serio il titolo di presidente onorario del club pansovietico Dinamo, che la sua carica necessariamente implicava.
La Dinamo era la squadra della polizia.
Niente di nuovo sotto il sole. Allora come oggi, dietro ogni vicenda c’è sempre un interesse personale.
Non saranno quindi gli interessi di parte a cambiare in meglio la nostra vita. Potrebbe provarci, come già in passato, la gente comune, dovrebbero muoversi i cittadini che non vogliono pagare le colpe dei politici e dei militari.
Ci vengono in mente le straordinarie manifestazioni in  Jugoslavia, a Belgrado e nelle altre città serbe, contro  l’allora presidente Slobodan Milošević, costretto a riconoscere la sconfitta nelle elezioni e a dimettersi; ci viene in mente che, prima della NATO, delle sanzioni, Putin dovrebbe cadere per mano del suo popolo, magari con manifestazioni di milioni di persone per dire no alla guerra e all’invasione dell’Ucraina. E contro la dittatura di Putin, che è al potere dal 31 dicembre 1999. Pochi mesi dopo che sulla Jugoslavia erano piovute bombe a grappolo e con uranio impoverito e missili lanciati dalla NATO, dalla coalizione che aveva alla guida il democratico Bill Clinton, il laburista Tony Blair, il socialdemocratico Gerhard Schröder e l’ex comunista Massimo D’Alema e come segretario il socialista spagnolo Francisco Javier Solana, in seguito  eletto (per il successo dei missili?) segretario generale del Consiglio dell’Unione Europea.
In attesa che il sogno diventi realtà, proviamo a leggere il libro scritto da Mario Alessandro Curletto, docente di Lingua e cultura russa presso l’Università di Genova, ma anche grande esperto di calcio e tifoso dello Spartak.
Spartak Mosca, di Mario Alessandro Curletto (il melangolo)

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>