Un libro alla settimana: Le gemelle di Auschwitz

di 

21 gennaio 2022

51nm2TwhubL._SX316_BO1,204,203,200_PESARO – Fra i diversi accadimenti degli ultimi sette giorni, mi ha colpito l’ennesima manifestazione neonazista: al funerale di una militante romana di Forza Nuova qualcuno ne ha coperto la bara con una bandiera con la svastica. Qualcuno che ha simpatia per i protagonisti della pagina più buia della storia, e magari non esita a urlare che i campi di sterminio sono un’invenzione degli ebrei e delle associazioni legate allo Stato di Israele.
Durante il servizio militare che mi ha fatto trascorrere un anno nella bellissima Trieste, il momento più difficile l’ho vissuto il 25 aprile 1971, impegnato nel picchetto d’onore nella Risiera di San Sabba. Edificato nel 1898, era uno stabilimento per la lavorazione del riso. Dopo l’8 settembre 1943, la risiera venne utilizzata dai nazisti come campo di prigionia. In seguito anche allo smistamento dei deportati diretti in Germania e Polonia, al deposito dei beni razziati e alla detenzione ed eliminazione di ostaggi, partigiani, detenuti politici ed ebrei. Il 4 aprile 1944 venne messo in funzione un forno crematorio, risultando così l’unico campo di sterminio italiano.
Il grande complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso, cibo per i vivi, diventava luogo dove la vita era strappata agli inermi.
Nel sottopassaggio, il primo stanzone posto alla sinistra di chi entra era chiamato “cella della morte”. Qui venivano stipati i prigionieri tradotti dalle carceri o catturati in rastrellamenti e destinati ad essere uccisi e cremati nel giro di poche ore. Secondo testimonianze, spesso venivano a trovarsi assieme a cadaveri destinati alla cremazione, si può leggere nella storia della Risiera di San Sabba.
A distanza di ventisette anni, dentro la Risiera si respirava ancora un’aria pesante; la morte aleggiava sulle nostre baionette, nelle parole degli intervenuti, delle autorità giuliane, degli esponenti della comunità ebraica. Fu difficile trattenere le lacrime.
Anni dopo, visitando prima Mauthausen, in Austria, poi Auschwitz, in Polonia, ebbi l’opportunità di vedere l’orrore di altri campi di sterminio.
Confesso, però, che il momento più toccante l’ho provato entrando nello Yad Vashem di Gerusalemme, sul Monte Herzl o Monte del Ricordo, il museo più simbolico di Israele, dedicato a tutte le persone che sono morte nell’Olocausto, ai sei milioni di ebrei assassinati durante la seconda guerra mondiale.
Però, come racconteremo nella rubrica del prossimo 28 gennaio, il genocidio non ha riguardato solo gli ebrei. I nazifascisti hanno tentato di azzerare altri  gruppi di perseguitati: i disabili, i rom, gli omosessuali, i testimoni di Geova.
Ecco perché, nell’anno 2022, la memoria è decisiva per provare orrore davanti a una bara coperta da una bandiera nazista. Chi non ha memoria del passato non è degno del presente e del  futuro.
Non solo i musei, i campi di sterminio, i luoghi simbolo della tragedia immane causata dalle follie del nazifascismo. Anche le parole e le immagini, i libri e i film aiutano a non dimenticare.
Oggi vi propongo la lettura di un libro: Le gemelle di Auschwitz. Lo ha scritto Eva Mozes Kor insieme con Lisa Rojanj Buccieri.
È la storia di Eva e Miriam, sorelle gemelle, deportate a soli dieci anni nel più terribile campo di sterminio e miracolosamente sopravvissute.
Nell’estate del 1944, Eva Mozes Kor giunse ad Auschwitz con la sua famiglia. I genitori e le due sorelle maggiori furono subito mandati alle camere a gas, mentre Eva e la sua gemella, Miriam, vennero affidate alle “cure” dell’uomo che è passato alla storia come l’Angelo della morte: il dottor Josef Mengele. Eva e Miriam avevano solo dieci anni. Nonostante ai gemelli fosse concesso, all’interno del campo, il “privilegio” di conservare i propri vestiti e i capelli, non venivano loro risparmiati i più atroci esperimenti. Sottoposti ogni giorno a procedure mediche mostruose, moltissimi di loro non sopravvissero. In un racconto crudo, che tratteggia in modo semplice quali erano le condizioni di vita nel più brutale campo di sterminio della storia, Eva offre la testimonianza di una bambina che si trova a fronteggiare il vero volto del male. Eva Mozes Kor ha dedicato tutta la vita a tener vivo il ricordo dell’Olocausto, lavorando al tempo stesso per trasmettere un messaggio di pace e perdono che, anche di fronte all’orrore, rappresenta il tesoro più prezioso da conservare.
Le gemelle di Auschwitz, di Eva Mozes Kor (Newton Compton Editori)

 

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>