31 dicembre 2021
PESARO – Ho pensato spesso, da quando morì la mia cara mamma Iolanda, che, se i morti vedono e colgono i comportamenti di chi è vivo, mio padre, mancato nel 1969, deve avere pensato tutto il male di me: raramente, in 46 anni, sono andato in visita al cimitero, meno che meno a portare fiori alla sua tomba.
Tutto il contrario di quanto accade dal 5 aprile 2015, da quando le mie passeggiate al San Decenzio si sono fatte quasi quotidiane. La mamma è la mamma, è vero, eppure, pensando a mio padre, mi sono sentito spesso in imbarazzo.
I quarantasei anni di assenza si sono trasformati in passeggiate quotidiane con in mano un fiore o la bottiglia dell’acqua.
Cambiare l’acqua ai fiori è diventato un piacere, non un obbligo, in memoria di chi mi ha dato tanto. Cambiando l’acqua alle piante e ai fiori, ho notato le altre presenze e ho imparato a conoscere chi frequenta assiduamente i corridoi del cimitero centrale. E mi sono accorto che spesso sono le fioraie a fare le veci delle famiglie impossibilitate a recarsi al San Decenzio. Arrivano in sella a biciclette cariche di piante e fiori e conoscono ogni tomba da abbellire e magari anche le storie dei defunti. Chissà cosa racconterebbero, se potessero farlo. E chissà cosa avrebbero potuto tramandare i custodi del cimitero. Ho pensato che mi sarebbe piaciuto portare a conoscenza di tanti la triste storia del bambino morto in un tragico incidente sulla Panoramica San Bartolo o della breve ma intensa vita del pilota militare perito nell’aereo abbattuto dagli inglesi nel cielo del Nordafrica o della bella vita dell’ingegnere che ha vissuto cent’anni.
Un’idea tardiva, la mia; è apparso evidente leggendo che Valérie Perrin, fotografa di scena, moglie del regista Claude Lelouch, aveva dato alle stampe Cambiare l’acqua ai fiori.
Un libro di straordinario successo, tanto che nel maggio di quest’anno era già alla quarantaduesima ristampa. edizioni e/o non sbaglia una scelta, a iniziare dalla pubblicazione dei libri del pesarese Paolo Teobaldi, uno dei miei scrittori preferiti, e, ovviamente, dalle storie narrate da Elena Ferrante.
Devo ammettere che l’idea di Valérie Perrin è assolutamente geniale, giusto per copiare un titolo di Elena Ferrante.
Violette Toussaint è guardiana di un cimitero di una cittadina della Borgogna… Durante le visite ai loro cari, tante persone vengono a trovare nella sua casetta questa bella donna, solare, dal cuore grande, che ha sempre una parola gentile per tutti, è sempre pronta a offrire un caffè caldo o un cordiale.
Un giorno un poliziotto arrivato da Marsiglia si presenta con una strana richiesta: sua madre, recentemente scomparsa, ha espresso la volontà di essere sepolta in quel lontano paesino nella tomba di uno sconosciuto signore del posto.
Da quel momento le cose prendono una piega inattesa, emergono legami fino allora taciuti tra vivi e morti e certe anime che parevano nere si rivelano luminose.
Così è scritto nella seconda di copertina che rimanda a 473 pagine di storie di vivi, perché i morti hanno vissuto e hanno tanto da ricordare. E così i cimiteri, che siano quello di una cittadina della Borgogna o quello di Lisbona, che ha un nome bellissimo: Dos Prazeres. Anche piccoli cimiteri di luoghi sconosciuti – vi consiglio, se avrete l’occasione di fare un viaggio nel nord della Spagna, di non perdere l’opportunità di visitare quello di Luarca, bianco come le case del paesino asturiano – raccontano storie che meritano di essere ascoltate. Non è necessario, con tutto il rispetto, andare a Parigi, al cimitero di Père–Lachaise. Come scrive magnificamente – grazie anche alla traduzione di Alberto Bracci Testasecca – Valérie Perrin.
Cambiare l’acqua ai fiori, di Valérie Perrin (edizioni a/o)
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