di Luciano Murgia
12 febbraio 2021
Paolo Isotta durante un’intervista al Tg2
NAPOLI – Stava male da tempo, sapevano gli amici, che peraltro – visti i tempi – avevano difficoltà a incontrarlo. E ne erano preoccupati. Altri raccontano di morte improvvisa, ma la scomparsa di Paolo Isotta è iniziata prima. Chissà se lo ha pensato, scrivendo del libro di Sara Zurletti Amore luminoso, ridente morte. Il mito di Tristano nella “Morte a Venezia” di Thomas Mann.
Paolo Isotta se ne è andato a 70 anni, nella sua Napoli, la città che lo ha visto nascere, crescere, emergere. Studi classici nel liceo Umberto I e nell’università Federico II, ma anche musicali (pianoforte), tanto da essere nominato, a soli 21 anni, professore straordinario nel Conservatorio di Reggio Calabria, poi a Torino, quindi di nuovo a Napoli.
Diventa noto quando lascia l’insegnamento, pare stanco dell’ignoranza degli allievi. Era il 1994. Nel frattempo, anno 1974, era diventato prima critico musicale de Il Giornale, quello diretto da Indro Montanelli. Sei anni più tardi si trasferisce a Via Solferino, Corriere della Sera. E diventa il più temuto, se preferite il più odiato, dei critici musicali.
Era di casa a Pesaro, al Rossini Opera Festival, in un rapporto spesso d’amore, talvolta d’odio. Pretendeva di avere accesso alle prove generali delle opere in programma e alla risposta negativa reagiva con malcelato disappunto. Però leggere le sue recensioni, il suo stile unico, era un piacere. Un articolo? No, una lezione di cultura musicale, di storia dell’arte.
Amava Rossini. Non quanto Wagner, ma del Cigno pesarese raccontò quando la Rossini renaissance era lungi dal divenire e a Rossini dedicò un libro, I diamanti della corona. Grammatica del Rossini napoletano, quando il ROF era ancora in grembo a Giove.
Tra i suoi numerosi libri, spesso dedicati agli animali, anche quello per gli ottant’anni del grande soprano pesarese Renata Tebaldi.
Articolo pubblicato in: Cronaca, Cultura e spettacoli, Pesaro, Pesaro-Cronaca, Pesaro-Cultura e spettacoli, Slide
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