26 novembre 2020
PESARO – Gioachino Rossini e Pier Luigi Pizzi non conoscono i cambi di stagione. Per il genio della musica e per quello della regia, ogni stagione è quella del trionfo.
Mercoledì sera, in diretta mondiale, malgrado il blocco di Facebook che ha impedito la visione in tutti i paesi del barbiere di Siviglia firmato dal Cigno pesarese, con l’allestimento curato da Pizzi, abbiamo assistito all’ennesima edizione del capolavoro. Un’emozione continua, fin dalla Sinfonia. Come se Rossini e Pizzi ci avessero invitato … Piano, pianissimo, senza parlare, tutti con me, venite qua… a raggiungere il tempio pesarese, chiuso per Coronavirus, ma aperto ai nostri desideri.
Rossini e Pizzi hanno preso per mano noi che eravamo davanti al video, facendoci immergere nella storia, nella musica, come fossimo seduti nella platea del teatro o in un palco, rapiti da ogni nota.
Eppure erano numerose le domande che hanno accompagnato la vigilia, a incominciare dalla reazione dei protagonisti in un teatro completamente vuoto.
In estate, il Teatro Rossini ha ospitato La cambiale di matrimonio, che ha potuto contare su circa duecento spettatori. Direbbe il famoso spot pubblicitario, “duecento è meglio che niente”. Ora, invece, è niente. Che non è niente, perché la musica – soprattutto quella di Rossini – è tutto. Ma questo è il tempo che viviamo.
Fosse accaduto nel 1816 di dovere convivere con una pandemia così devastante, forse Rossini, che dovette fare i conti con la morte improvvisa di Francesco Sforza Cesarini, che gli aveva commissionato l’opera “gioiosa e scherzosa”, si sarebbe tirato indietro. Secondo alcuni biografi, il Cigno di Pesaro era ipocondriaco. Quindi…
Per fortuna, sua e di tutti noi, Rossini non si tirò indietro e mandò in scena la sua musica, accolta malissimo dal pubblico del Teatro Argentina, in Roma, che ospitò la prima. Per fortuna, non c’era solo la prima. Le successive rappresentazioni furono un trionfo. Non poteva essere altrimenti. Non a caso, ancora oggi è una delle opere più rappresentate al modo e anche chi non ama l’opera, difficilmente ignora Figaro e Rosina, Almaviva e Bartolo, Don Basilio e Berta.
È vero, però, che anche a Pesaro, dove Rossini gioca in casa, non tutte le rappresentazioni del Barbiere di Siviglia hanno riscosso elogi unanimi.
Era l’opera più attesa da albergatori e ristoratori, che l’avrebbero voluta presente in ogni edizione, ben sapendo la sua capacità attrattiva, ma il ROF e la Fondazione Rossini avevano, e hanno, giustamente, altre idee, tanto che è entrata in cartellone solo nel 1992, bicentenario della nascita di Rossini (29 febbraio 1792).
Il debutto al Festival non fu particolarmente eccitante. La regia di Luigi Squarzina, straordinario uomo di teatro, non entusiasmò pubblico e critica. Troppo buia la “sua” Siviglia. I suoi personaggi sembrarono troppo distanti da quelli conosciuti e amati dai melomani. L’operazione non ebbe successo. Onestamente, se pensiamo a ventotto anni fa, ci viene in mente solo Roberto Frontali, Figaro. Gli altri cantanti li abbiamo dimenticati. Magari è solo colpa nostra.
Cinque anni dopo, il ROF ripropose Il barbiere di Siviglia e il riallestimento della regia di Squarzina. Neppure Sonia Ganassi, Rosina, cambiò l’ordine dei fattori, il prodotto – salvo il Figaro di Frontali e lo scatenato Bartolo di Bruno Praticò – rimase uguale. Nel 1997, però, sul podio c’era Yves Abel, mentre nel 1992 il direttore era Paolo Carignani. Il direttore canadese è importante nella storia del barbiere al ROF.
Per riascoltare l’opera più amata – dal pubblico e dalle biglietterie dei teatri – si dovette attendere altri otto anni: il 2005. Una nuova produzione, con l’allestimento di Luca Ronconi, le scene di Gae Aulenti e i costumi di Giovanna Buzzi. Il meglio. Con Daniele Gatti sul podio a dirigere l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna e un cast, come si suol dire, stellare: Juan Diego Flórez a dare voce al Conte d’Almaviva, Bruno De Simone a Bartolo, Joyce Di Donato a Rosina. Eppure non tutti furono entusiasti.
Pesaro come il Teatro Argentina di Roma? Sembrerebbe, pensando anche all’edizione 2014, quando Giacomo Sagripanti fu bravo a dirigere l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, come pure i cantanti, a incominciare da Juan Francisco Gatell, che ritroviamo quest’anno, e Paolo Bordogna. Pure comprendendo le ragioni del ROF di offrire opportunità ai giovani studenti (nel caso dell’Accademia di Belle Arti di Urbino), fu uno spettacolo forzato, in stile “ma che aspettate a batterci le mani, a metter le bandiere sui balconi… Venite tutti in piazza fra due ore, vi riempirete gli occhi di parole, la gola di sospiri per amore, e il cuor farà seimila capriole“. Sul palcoscenico tutto e il contrario di tutto, da sembrare una forzatura in stile Dario Fo. Con tutto il rispetto e le dovute proporzioni.
Poi il 2018… l’idea geniale, anzi il Genio del ROF: Pier Luigi Pizzi e Yves Abel. Un trionfo per il direttore canadese che tornava dopo ventuno anni e per Pizzi che, incredibile a dirsi, allestiva Il barbiere di Siviglia a 88 anni, dopo avere esordito a Pesaro nel 1982 con un meraviglioso Tancredi e avere strappato l’unanimità di consensi e di applausi con le regie del Rossini serio, dal Mosè in Egitto del 1983 a Le comte Ory del 1984, dal Maometto II del 1985 a Bianca e Falliero del 1986, dall’Otello del 1988 al Guillaume Tell del 1995. Però… c’è sempre un però… L’avvicinamento è del 2017, quando Pizzi curò la regia de La pietra del paragone che ha per protagonisti Aya Wakizono e Maxim Mironov, ma anche Davide Luciano, Paolo Bordogna e William Corrò.
La raccontammo così: Altro che notti delle stelle cadenti, questi giorni d’agosto sono le notti delle stelle sfavillanti. Non potrebbe essere altrimenti, se a guidare da dietro le quinte è Pier Luigi Pizzi, “Il regista” del Rof che ha proposto una scena che sembra un perfetto spot pubblicitario per gli arredamenti. Perfetta sintonia per Pesaro, città del Mobile ma anche della Musica. Bellissimi i costumi, con continui cambi in corso d’opera… Pizzi ha ideato gag – in particolare i tuffi, voluti o provocati, nella piscina – che sono piaciuti al pubblico, subito caloroso con tutti.
L’anno dopo, alcuni dei protagonisti li ritrovammo nel barbiere. E li abbiamo rivisti mercoledì sera, anche se solo in diretta streaming.
Purtroppo non sono mancati i problemi. Il ROF si è scusato “Siamo spiacenti per i problemi riscontrati ieri durante la diretta Facebook a causa di una erronea contestazione di violazione copyright“. Un blocco che ha interessato alcuni paesi.
Non riuscendo ad aprire la pagina del Rof, che per circa 40 minuti ha accusato difficoltà dovute probabilmente ai troppi accessi, ci siamo gettati su YouTube e, salvo un breve intoppo quando Iurii Samoilov ha iniziato a cantare la cavatina di Figaro Largo al factotum, la diretta è stata perfetta.
Perfetta anche l’introduzione del direttore Michele Spotti, che ha raccontato – in verità eravamo collegati in pochi, ed è un peccato – il “suo” barbiere: “Una delle opere più belle, più rappresentate. Uno dei più bei capolavori nella storia della letteratura operistica. Ho il privilegio di dirigerla a Pesaro, una città importante per Rossini. Pensate che con Rossini è stato, per me, amore a prima vista. La prima opera che ho studiato, quando ero iscritto al Conservatorio di Milano, è stata Il barbiere Siviglia, una successione di “grandi momenti” che rendono l’opera estremamente orecchiabile e rimangono nella memoria chi l’ascolta. Il nome iniziale era Il conte d’Almaviva, ossia l’inutile precauzione, tema che ricorre, come quando Rosina ne parla a Bartolo. Rossini non utilizzò inizialmente il nome diventato definitivo perché c’era già questo titolo, firmato da Paisiello. All’epoca una delle opere più conosciute. Infatti, l’insuccesso della prima venne attribuito ai sostenitori di Paisiello che contestavano Rossini”.
Solo applausi, mercoledì sera. I nostri, ideali, in uno streaming al contrario, e quelli, a fine rappresentazione. Applausi reciproci. Prima l’orchestra ai cantanti, poi i cantanti ai musicisti dell’Orchestra Sinfonica G. Rossini. Una grande emozione, dopo avere ascoltato le arie più celebri terminare nel silenzio. Ci fosse stato il pubblico, sarebbe stata una continua esplosione di mortaretti, di fuochi artificiali.
Inizialmente, abbiamo avuto l’impressione che Juan Francisco Gatell, crediamo triste come tutti gli argentini, abbia pagato la tremenda notizia della scomparsa di Maradona. Lo ricordavamo più sicuro, anni fa, nell’esecuzione di Ecco ridente in cielo. O forse avevamo incisa in memoria la voce di Maxim Mironov, meraviglioso Almaviva, due anni fa. Gatell si è ripreso, sostenuto da colleghi eccellenti, ed è stato molto bravo quando, nel finale, ha cantato Cessa di più resistere.
Il continuo ripetersi di “momenti magici”, da la ran la lera, la ran lala, Largo al factotum della città, ha lanciato Iurii Samoilov, ripetutosi All’idea di quel metallo.
Uno dei grandi protagonisti è Michele Pertusi, un Don Basilio manzoniano, che in un’opera che non gli concede molto spazio, trasforma la parte come fosse la più decisiva. La calunnia non è un venticello, ma un tuono, un temporale, una tempesta. Spettacolare.
Come lo è Rosina, con solo con la famosa cavatina Una voce poco fa. Aya Wakizono, già superba interprete due anni fa, è ulteriormente migliorata. La maturità acquisita in questi anni, pure alla sua giovane età, le concede di dominare un ruolo sì affascinante, ma anche pericoloso per chi lo interpreta. Lei è innamorata e maliziosa. Se ne accorge Figaro, obbligato a cantare Donne donne, eterni dèi, chi vi arriva a indovinar?
Attento e scrupoloso, come due anni fa, William Corrò.
Come già lo scorso agosto, ne La cambiale di matrimonio, un altro trionfatore è Carlo Lepore, impareggiabile Bartolo. Purtroppo, al termine di A un dottor della mia sorte, manca maledettamente l’applauso. Il nostro non è mancato. Lo ribadiamo adesso. E che dire, poi, dell’interpretazione data a quella che è nota l’arietta “di Caffariello”? Caffariello, o Caffarelli, pseudonimo di Gaetano Majorano, uno dei castrati più famosi del XVIII secolo. Lepore è strepitoso, sublime con la voce in falsetto.
Quanto mi sei vicina, amabile Rosina, il cor mi balza in petto, mi balla il minuetto.
Come spiegava Michele Spotti, è una continua parata di grandi voci, a cui si iscrive con autorevolezza Elena Zilio, che, come due anni fa, è intrigante Berta che interpreta alla perfezione l’aria di sorbetto Il vecchiotto cerca moglie.
Una serata da circoletto rosso, come dagli appunti di Gianni Clerici e Rino Tommasi, con l’aggiunta dell’idea, assai convincente, di non lasciare un fermo immagine a farci compagnia durante l’intervallo, riempito con le interviste a Ernesto Palacio, Aya Wakizono, Michele Pertusi e Manuela Gasperoni, responsabile degli allestimenti. Per la serie il ROF non perde colpi.
Lo ribadisce il finale, quando i musicisti dell’Orchestra Sinfonica G. Rossini applaudono le voci, i cantanti e l’ottimo Coro del Teatro Ventidio Basso (Maestro del Coro Giovanni Farina. I quali contraccambiano applaudendo i musicisti, ma anche il direttore Michele Spotti che li raggiunge sul palcoscenico, imitato subito dopo da Pier Luigi Pizzi e Massimo Gasparon, assistente alla regia e curatore delle luci. Pizzi con la mascherina è l’istantanea del nostro tempo, ma anche della volontà di non arrendersi, di andare avanti con la musica, “perché – dice Spotti nell’introduzione – Il barbiere di Siviglia è un ingranaggio perfetto. Un’opera brillante, viva, ricca di spirito. Ma la comicità di Rossini ha i suoi tempi, non deve essere affrettata, si deve gustare”.
Ecco, se potete, date retta al direttore e gustatevi le repliche: venerdì 27 alle ore 20, domenica 29 alle ore 17.
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