23 novembre 2020
PESARO – Anticipiamo il tradizionale appuntamento settimanale. La rubrica dedicata ai libri è pubblicata abitualmente tra venerdì e sabato. Ma stamattina, in libreria, gli occhi sono finiti sulla copertina di un libro, in verità sulla fotografia di Sergio Guerra.
Per quei pochi che a Pesaro e provincia ancora non lo conoscessero, Sergio Guerra è morto, vittima del Covid-19 che ancora qualcuno s’ostina a negare. Era il 30 marzo 2020 e l’Università degli Studi di Urbino esprimeva il profondo cordoglio per la scomparsa del docente di letteratura inglese. Sergio insegnava letteratura e cultura inglese da piedi vent’anni. E organizzava indimenticabili concerti.
Il professor Guerra, anzi Sergio, amava la musica, suonava e allo stesso tempo pubblicava diversi volumi.
Il suo ultimo lavoro, che ultimo non è, esce postumo, tradotto in italiano – Sergio l’aveva scritto in inglese – da Alessandra Calanchi, professoressa associata di Lingue e Letterature Anglo-Americane nell’ateneo ducale.
“Questo è un romanzo incompiuto che Sergio Guerra mi diede da leggere all’inizio del 2019. Me ne aveva parlato spesso, e desideravo valutare la possibilità di una pubblicazione. Lui si schermiva – era un lavoro giovanile, per giunta non era finito, non valeva la pena, era scritto inglese, c’erano errori – ma in fondo gli piaceva ripescare quelle pagine da un passato lontano a lui così caro.
“La vicenda si svolge gli anni Ottanta; gli anni del post-stragismo, della disco music, delle prime serie televisive d’importazione, degli yuppies, della TV spazzatura – per noi che stavamo in Italia. Ma per Sergio, che qui parla di sé in terza persona, sono stati gli anni d’oro di Melbourne, della ricerca di una nuova cittadinanza per sfuggire al servizio militare (obbligatorio in Italia fino al 2004), delle sperimentazioni musicali che lo avrebbero portato a essere un compositore e autore di canzoni, nonché l’anima pulsante di varie band locali – dai Fratelli Tessuto ai Soul Fix fino all’Orchestra Orientabile – una volta tornato in Italia: questa volta per restare, in seguito alla morte improvvisa della madre, travolta sulle strisce pedonali.
“Nel suo unico album di foto, che lo ritrae dall’infanzia al nuovo millennio, spicca un’istantanea scattata in Nicholson Street, qui usata in copertina. Prima e dopo ci sono immagini di Miami, Los Angeles, la Grecia, ma sono solo la punta di un iceberg, perché Sergio ha viaggiato e vissuto a lungo in molti degli Stati Uniti, oltre che in Italia e in Europa, e, appunto, in Australia…
“È un periodo complesso: l’ultimo decennio della Guerra Fredda su svolge parallelamente agli ultimi colpi di coda dei movimenti pacifisti e per i diritti civili, cosicché la paura dell’atomica si mescola a messaggi introspettivi degni delle lyrics di Bob Dylan (qui evocato tramite l’uso, ben celato nel testo, del titolo di una sua famosa canzone del 1963, Masters of War). Curioso che proprio Guerra dovesse chiamarsi, lui che spiega con pazienza a una bionda annoiata, nel quarto capitolo, i capisaldi del pensiero libero, pacifista e cosmopolita…
“Il romanzo, si diceva, non è concluso. Per questo motivo abbiamo voluto, gli amici e io, inserire anche il manoscritto originale, includere gli errori cancellati e i ripensamenti, e metterci anche un paio di appunti che lo accompagnano: come a voler garantire a questa storia il suo legittimo statuto di work in progress, come a voler dare a noi lettori e lettrici tante porte da cui passare, e tanti spazi da riempire con le storie di Sergio che conosciamo, con i pezzi di vita che ci ha regalato, con gli aneddoti che ricordiamo”.
Fin qui l’introduzione di Alessandra Calanchi.
Vi propongo il primo capoverso del capitolo 1: Chi ha sparato a J.R.?
Sergio arrivò in Australia convinto di avere l’epatite. Alla lucetta fioca che illuminava il sedile, in aereo, la pelle sembrava diventargli sempre più gialla ogni minuto che passava. Sentiva il fegato come non lo aveva mai sentito in tutta la vita: un organo marcescente, con l’energia residua di uno stomaco che abbia ingurgitato una doppia porzione di gulasch ungherese – tessuti che si disgregano, cellule che si suicidano. Era come ospitare un olocausto nucleare al di sotto del diaframma, come innescare una bomba a orologeria bevendo un vino d’annata a colazione; come se i dieci caffè tracannati in un giorno, il cibo del take away e il senso di colpa dovuto all’educazione cattolica avessero deciso di esplodere tutti insieme nei suoi visceri per fare di lui un martire…
Tutto da leggere, anche in ricordo di una splendida persona, di un docente, studioso, chitarrista e cittadino del mondo, che, sopra ogni altra cosa, amava i Beatles e la sua gattina Ali.
Non doveva essere amore. Da Pesaro a Melbourne (via L.A.) di Sergio Guerra (Ventura edizioni, 10 euro).
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