SPECIALE CULTURA: 120 anni fa nasceva Antonio De Curtis, in arte Totò… un Uomo Umano

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1 marzo 2018

Totò in un ritratto degli anni Trenta, con l’immancabile sigaretta: all’epoca ne fumava anche cento al giorno.

Totò in un ritratto degli anni Trenta, con l’immancabile sigaretta: all’epoca ne fumava anche cento al giorno.

Centoventi anni fa, esattamente  il 15 febbraio 1898, nasceva a Napoli Totò che fin da piccolo dovette rassegnarsi ad una mamma, di nome Anna Clementi, “distratta”. Subito dopo il parto, infatti, ella si preoccupò di tornare snella e desiderabile dedicandosi più all’amante, il marchese Giuseppe de Curtis, che al figlio affidato perennemente alla nonna materna, Teresa. Diventare la mantenuta di un nobiluomo, che considerava il lavoro inadatto al suo rango e proprietario di un intero palazzo, costituì per Anna un ragguardevole avanzamento sociale che lei vantava senza vergogna suscitando invidia e ammirazione nel quartiere del rione Sanità. Del padre, il piccolo Totò sentiva parlare poco, ma gli raccontavano che era un signore importante e assai occupato, e di lui conosceva solo l’aroma del sigaro e quel leggero tocco sulla guancia. Il marchese Giuseppe de Curtis, trentatreenne, faceva molti regali alla giovane amante di soli sedici anni, senza pensare altresì alle esigenze del figlio che crebbe invece negli stenti, per cui non ebbe mai giocattoli, neanche a Natale o il giorno del suo compleanno e anche gli abiti che indossava erano ricavati dalle gonne della madre che aveva peraltro gusti sgargianti.

A otto anni, per iniziativa del marchese, andò in collegio per farsi una base culturale e a tredici ne uscì iniziando a comprendere l’importanza del denaro e la sua personalità si tratteggiò per il piacere delle cose  raffinate e belle. Era attirato per i vestiti e per guadagnare dei soldi lavorò con uno zio marmista, e con molti sacrifici mise da parte un gruzzolo che gli servì per acquistare il suo primo vestito decente. Ma il tempo scorreva e il fatto di essere figlio di N.N. gli pesava, in quanto era un marchio infamante e una vergogna sociale che non poteva sopportare, così appena congedato dalla guerra del ’15-18 e non avendo soldi per comprarsi un altro abito, andò in giro vestito da soldato nutrendo una sofferenza che sfociò in incontro-scontro con i genitori. E alludendo ad un suo allontanamento dalla famiglia se non fosse stato riconosciuto dal padre-marchese questi, fiero del ragazzo, riconobbe l’erede disconosciuto. Così i genitori si sposarono, e il loro unico figlio, ormai ventiseienne, si chiamò de Curtis. Divenne così Altezza Imperiale, Principe, Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Impero romano, Ufficiale della Corona d’Italia, Cavaliere della Gran Croce dell’Ordine di Sant’Agata e San Marino e marchese di Terziveri.

Fu la mancanza di una vera famiglia d’origine, che spinse Totò a unirsi a Diana Bandini, cercando in lei la sicurezza e il calore che non aveva mai conosciuto. Fin dagli inizi della loro relazione desiderò una casa che per lui rappresentava la stabilità sentimentale e la rispettabilità sociale, destinata a essere premiata dal matrimonio e curiosamente l’età di Totò e di Diana erano simili a quelle del padre de Curtis e della madre: trentatré anni lui e sedici lei, e si conobbero casualmente. Il protagonista dello spettacolo di un varietà, intitolato Le follie estive era Totò, un attore comico di trentatré anni, che riscuoteva un enorme successo. Quando Raniero de Censo, un suo amico, gli fece recapitare un biglietto che gli annunciava la sua presenza, Totò arrivò nel foyer (vestibolo antistante la platea di una sala teatrale) elegantissimo in un abito principe di Galles. “Ti presento mia moglie e la sua sorellina Diana” disse Raniero. Lo sguardo di Totò ebbe su di lei un effetto magico e poco prima dell’inizio dello spettacolo una maschera avvertì Raniero che Totò desiderava parlargli. “Voglio sposare tua cognata” annunciò Totò senza tanti preamboli. “E’ una ragazza bellissima e incarna perfettamente il mio ideale femminile. Quando l’ho vista sono rimasto di stucco perché è identica a una figuretta pubblicitaria che mi ha colpito la fantasia”.

Totò e sua moglie Diana

Totò e sua moglie Diana

Diana era cresciuta senza una guida paterna e con Totò ritrovò tutti gli aspetti della figura maschile: amante, marito, padre protettore e complice. In quel periodo erano molto uniti, anche perché entrambi avevano un gran bisogno di colmare i vuoti affettivi della loro infanzia, e dopo la nascita di Liliana, loro unica figlia, che ricorda così l’evento: “Dolce e altero, mite e aggressivo, prepotente e insicuro, tra le sue incrollabili convinzioni papà aveva quella che le cliniche fossero luoghi da evitare, ambienti sgradevoli, deprimenti e persino vagamente jettatori, per questo decise che mamma mi avrebbe partorito nella camera dell’albergo Ginevra di Roma dove alloggiavano quell’anno, assistita da un medico, un’infermiera e un’ostetrica”, Totò divenne geloso e possessivo e la passione che nutriva per Diana diventò ogni giorno più morbosa, con il pensiero fisso del tradimento.

Dopo aver ripensato più volte un giorno le fece un discorso folle, ma in realtà coerente con il suo modo di pensare; “Cara, ti amo tanto che non ti voglio più come moglie” le disse. “Se otterremo l’annullamento del matrimonio e continueremo a viver insieme sarò certo che tu mi ami veramente, Inoltre, non essendo più tuo marito, non correrò il rischio di essere cornuto”. Un’altra donna non avrebbe retto al trauma ma non Diana, abituata alle bizzarrie di Totò, perché ancora troppo innamorata del marito e si assoggettò alla sua volontà.

Totò cominciò a recitare a Napoli, in spettacolini casarecci, o in teatrini rionali ma il debutto vero avvenne nel ’22 a Roma. Già da allora si era creato un repertorio ispirandosi a un grande comico dell’epoca, Gustavo De Marco che può considerarsi suo maestro, ed una sera che De Marco si sentì male venne subito rimpiazzato da Totò e fu subito un tributo, a un nuovo tipo di umorismo, che fece dimenticare il grande De Marco. Dopo il primo successo fu quindi subissato da proposte di scritture e accettò quella del Teatro Nuovo di Napoli dove le sue macchiette, nate da un attento studio della realtà, mandavano in estasi la platea. E sempre a Napoli ci fu l’incontro con i fratelli De Filippo, Peppino, Titina ed Eduardo con i quali recitò la Commedia dell’Arte, improvvisando ogni sera il copione. In palcoscenico era una forza della natura, un condensato di energia, un fuoco d’artificio di battute, ma dietro ogni sua esibizione c’era una lunga e meticolosa preparazione. In camerino teneva una specie di sedia a sdraio su cui si adagiava prima dello spettacolo, con gli occhi chiusi e le braccia incrociate dietro la nuca.

TotoPer lui il teatro era una specie di tempio di cui lui era il sacerdote. Dalle ballerine esigeva la massima moralità e stimava molto Isa Barzizza, ma non tutte le ballerine avevano le abitudine da educanda di Isa e alcune di loro si lamentavano per la rigida disciplina imposta da Totò. Nella solitudine che seguì la separazione da Diana, prima di conoscere Franca Faldini, Totò compose le poesie più belle tra cui ‘A livella e Malafemmena, ispirata a Diana che divenne pure una canzone famosa. Ma conobbe ed amò tantissime sciantose e ballerine che gli si concedevano senza farsi pregare e di lui apprezzavano, oltre all’instancabile ardore, la galanteria e la generosità. Di queste, una soubrette bellissima abituata a dilapidare il patrimonio degli uomini che perdevano la testa per lei si chiamava Liliana Castagnola. La passione tra Liliana e Totò esplose in modo travolgente: per lui fu una ubriacatura sensuale, per lei si trattò di qualcosa di molto più serio. Ma Totò la lasciò e lei si suicidò. Totò e Franca Faldini, invece, vissero la loro relazione alla luce del sole e per lui, ormai cinquantacinquenne, fu una grossa soddisfazione presentarsi ai giornalisti al braccio di una splendida ragazza di ventidue anni.

Purtroppo le precarie condizioni di Totò iniziarono nel ’38, a Viareggio, quando cominciò a vedere “una farfalla nera” passargli davanti all’occhio sinistro e si arrivò ad una diagnosi attendibile: soffriva di carioretinite emorragica, dovuta al virus della polmonite che si era localizzato nell’occhio, danneggiando irreparabilmente la retina e le possibilità che tornasse a vedere furono praticamente nulle, anche perché fin da giovane aveva perso quasi completamente l’uso dell’occhio destro. Ma girò comunque diversi film, tra cui Totò, Peppino e le fanatiche, La legge è legge e I soliti ignoti, arrivando sul set con gli immancabili occhiali scuri e, in attesa del primo ciak, si faceva descrivere minuziosamente la scena in cui avrebbe dovuto girare, ascoltando con la massima concentrazione. Ma poi quando iniziavano le riprese la componente magica della sua arte lasciava tutti sbalorditi: era come se, fino a un attimo prima, avesse preso tutti in giro recitando la parte del cieco. Tanto è vero che tolti gli occhiali Totò aveva uno sguardo vivacissimo e riusciva a muoversi con estrema disinvoltura, sgusciando tra i mobili senza sfiorarli e scavalcando i cavi elettrici senza inciampare.

Viveva con Franca nel lusso, mantenendo anche la figlia Liliana e i suoi figli. Era generosissimo con chiunque si rivolgesse a lui, e capitava spesso di vedere Cafiero, il suo autista, partire con la macchina carica di giocattoli, indumenti e medicinali per fare fronte ai bisogni delle famiglie che lui aveva deciso di aiutare. Ogni anno poi, a Pasqua, riempiva la macchina di uova di cioccolato e insieme al fedele autista andava da Roma, dove abitava, a Napoli per distribuirle agli scugnizzi del rione Sanità.

Preferiamo fermarci qui senza inoltrarci nella sofferenza e nella sua dipartita e proporre alcune sue irresistibili battute, per concludere con una poesia inedita, tra le diverse, pervenuteci in eredità.

 

Come sono?

Sono un uomo della foresta, un forestiero;

Io sono parte napoletano e parte nopèo, cioè due volte napoletano;

Sono napoletano, membro della CNEF: ‘ccà nisciuno è fesso;

Io sono integro e puro, sia di corpo che di spirito: non ho commesso peccati né di carne né di pesce;

Sono superiore a lei per cultura, per nascita e per censo, superiore al censo per censo.

Totò

Ho bisogno di vederti  (Poesia di Totò)

Ho bisogno di vederti                                                                 

tutti i giorni vita mia.                                                    

Ho bisogno di sentire

quella dolce melodìa

quella musica oppiata

che m’inebria e che mi nuoce

quella musica drogata

che mi piace… la tua voce.

 

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