di Redazione
8 dicembre 2017
Società affiliate 4.484
Dirigenti 60.818
Atleti 331.773 (maschi 74.732, femmine 257.041)
Allenatori 20.108
Arbitri indoor 6.300
Sono i dati della Fipav (che ringraziamo) al 30 giugno 2017.
Numeri importanti, per il movimento pallavolistico in generale e per il femminile in particolare.
Rispetto ai dati che si trovano online – risalenti probabilmente a fine 2010 – la crescita è continua.
Allora, i tesserati Fipav erano 327.031 (83.958 maschi e 243.073 femmine); 19.000 gli allenatori, 4.922 gli arbitri e 49.747 i dirigenti. E ben 17.529 le squadre partecipanti ai campionati federali.
Come si nota subito, cala il settore maschile (meno 9.226 tesserati), cresce quello femminile (più 13.968, con una percentuale positiva del 5,74%).
Lo scrivo da un grande appassionato di pallavolo, da vero innamorato di questo sport: preferisco il volley femminile!
L’altra sera, da abbonato di Sky, ho seguito la sfida italiana in Champions League. Perugia – Civitanova, al di là delle emozioni procurate da una partita finita al tie-break, con il successo di chi era sotto di 2 set, ha rafforzato la mia convinzione. A un certo punto, anche gli ottimi commentatori – ah se ci fosse Andrea Zorzi a parlare di volley femminile senza cerette, unghie, ciglia, smalti e amenità varie che puntualmente elargisce Andrea Lucchetta – hanno dovuto prendere atto che la Lube aveva regalato un set con 25 battute sbagliate. Alla fine della partita, sono stati addirittura 55 i servizi sbagliati (25 Perugia; 30 Civitanova).
Altro che il bim bum bam con cui i denigratori attaccano la pallavolo, ritenuta “colpevole” di proporre azioni che durano un amen.
Per questo, tra volley maschile e pallavolo femminile, scelgo la seconda. E con rammarico prendo atto che i numeri che vanta il volley rosa non sono direttamente proporzionali alle attenzioni che riceve dai media e soprattutto dall’audience televisivo.
Se la pallavolo è seconda solo al calcio per numero di tesserati, il settore femminile è senza alcun dubbio il numero 1 nello sport nazionale. Non poteva essere altrimenti per la disciplina che coniuga nel migliore dei modi la femminilità e l’agonismo.
Il problema, semmai, è che non manca chi fa di tutto per attenuare, o addirittura azzerare, la passione.
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