26 settembre 2017
“Italiani, popolo di santi, poeti e navigatori”. Ma non solo… aggiungeremmo!
Gli italiani col tempo si sono rivelati un popolo di santi, di poeti, di navigatori, ma anche di artisti, di colonizzatori, di eroi e di emigranti.
Benito Mussolini il 2 ottobre del 1935 enunciò simili parole, visibili tuttora sulle quattro facciate del Palazzo della Civiltà Italiana, o Colosseo Quadrato, a Roma contro il biasimo rivolto all’Italia, da parte delle Nazioni Unite, per l’assalto all’Abissinia (odierna Etiopia).
Una vittoria annunciata il 9 maggio 1936 dove il Re d’Italia “Vittorio Emanuele III” assunse il titolo d’ Imperatore d’Etiopia, Mussolini quello di Fondatore dell’Impero, e il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio di Duca di Addis Abeba.
Ora gli avvenimenti dei grandi NAVIGATORI da Annone il navigatore (633 a.C. – 530 a.C.), uno dei più grandi navigatori al mondo (cartaginese), a Magellano (portoghese) a Polo, a Colombo e Vespucci, senza voler tralasciare, per leggerezza, che il periodo delle conquiste entusiasmante sotto molti punti di vista, portò invece come conseguenza tragica lo sterminio di innumerevoli popolazioni indigene (vedi James Cook e l’avvelenamento degli aborigeni). Questi, comunque, sono stati alcuni di quella miriade di esploratori, italiani e non, e qui si desidera solamente ricordare l’eccezionale e straordinario coraggio di uomini che, devoti alla loro idea, e con insufficienti e inadeguate conoscenze e la quasi inesistente tecnologia dell’epoca, compirono imprese memorabili.
L’Italia però è considerata il Bel Paese sia per la bellezza dei suoi luoghi naturali (montani, marini, lacustri, campestri) ma pure in virtù dell’esistenza di 5.000 musei, 67.000 chiese, 3.200 castelli, ed è l’unico stato al mondo che include nel proprio territorio altri due stati: la Città del Vaticano e la Repubblica di San Marino. E’ tuttora ritenuto “Il Paese del Sole”, anche se Venezia è più fredda di Monaco o Livigno ha più neve di quanta se ne vede nella taiga siberiana. Per Montaigne (1533-1592), invece, “Venezia è gremita di puttane, utilissime perché i proventi del mestiere fanno guadagnare i mercanti”, e per Goethe “Noi tutti siamo viaggiatori e cerchiamo l’Italia”.
L’italiano oggi (al 2016) vive più a lungo: ottantun’anni circa, l’uomo; ottantacinque anni, le donne. I friulani sono i più alti (1,78) e i sardi quelli più bassi (1,70). Il reddito, pro capite, più alto ha certamente dato rilievo ad una maggiore indipendenza e reso anche la donna libera; inoltre ci sono meno discriminazioni di status e guadagno tra maschi e femmine. La televisione ha fatto per la nostra unità più di Garibaldi e di Cavour, dandoci un linguaggio e un costume comuni. Ma se da una parte lo sviluppo economico ci ha più arricchiti di certo non ha coinciso con un progresso morale altrettanto significativo; siamo perennemente scontenti della classe dirigente e diffidiamo di quella politica. Il Nord si avvicina sempre di più alle aspettative della Svizzera e della Germania e tre regioni meridionali (purtroppo sempre le stesse), sono umiliate dal degrado e dal crimine e ovunque predomina l’opportunismo, il cinismo e la paura.
Per i giovani che una volta volevano a tutti i costi andarsene via da casa, magari all’estero o al Nord Italia e fare il viaggiatore o il migrante (come si direbbe oggidì), ci si rende conto che può essere un problema, salvo taluni di loro, farli uscire dalla loro stanza, senza il richiamo dei pasti quotidiani in casa.
E che dire dei SANTI?
San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena sono i santi patroni in Italia.
Ognuno di noi ha un santo protettore: alla vigilia di ogni sorta di esami è conveniente rivolgersi a San Giuseppe da Copertino; chi esercita sport subacqueo si affida a San Paolo, che conosceva bene il naufragio; sempre tenero verso le preoccupazioni degli innamorati è invece San Valentino, e per le cause disperate ci viene incontro Santo Espedito.
Poi c’è il francescano Sant’Antonio da Padova (che era invece di Lisbona), seguito dalla venerazione per Francesco di Assisi, da Santa Rita da Cascia e inevitabilmente da San Gennaro, che nell’ottava di primavera il suo sangue continua a liquefarsi. Mentre San Cristoforo si occupa degli automobilisti e Santa Barbara della incolumità di artiglieri e vigili del fuoco, Sant’Ambrogio viene venerato dai lumbard e, a proposito, un reumatologo esaminando le sue reliquie ha scoperto che soffriva di una spondiloartrite anchilosante (malattia reumatica).
Per le malattie dello stomaco c’è poi Sant’Erasmo da Formia, per i denti Sant’Apollonia e per la schiena Sant’Orso. Spiacenti per San Giorgio che è stato estromesso dalle liste ufficiali, e quindi inutili tutti quei duelli con i draghi per liberare la figlia del re: cancellato, ma comunque consacrato nell’arte da Simone Martini, da Donatello e da Carpaccio.
Ma è bene ricordarsi sempre: Scherza coi fanti e lascia stare i Santi.
I POETI meritano il capitolo finale. Ma c’è un valido motivo.
Oggi parlare di poeti che si atteggiano ad essere configurati come tali è pura presunzione e mera illusione! Il nostro Paese ha sfornato tanti di quei veri poeti che solo ad enunciarli non basterebbe L’Enciclopedia per antonomasia, e quanti poeti italiani si sono avvicendati nei secoli per divulgare e far conoscere i loro pensieri, le loro emozioni, le loro sensibilità e immaginazioni e che hanno coltivato tutto ciò che era ideale, elevato, nobile e bello?
Esiste un’arte e una tecnica di esprimersi in versi, con estrema attenzione all’aspetto fonico, ritmico e timbrico del linguaggio, con esperienze, idee, impressioni e fantasie. Poter raccontare in poesia epica, drammatica, lirica, didascalica, satirica e dialettale, e con una elevata tensione spirituale e una capacità di suggestionare, di suscitare fascini, sentimenti, creatività, evasioni dalla realtà, abbandoni a sogni e utopie, NON È DA TUTTI.
Dalla passione struggente ma casta di Saffo a l”odi et amo” di Catullo, alla manualistica di Ovidio; dall’amore trascendentale di Dante per Beatrice a quel miscuglio di sensualità, scavo interiore e contraddizione di Petrarca; da Ronsard all’Aretino a Lope de Vega, da Marino a John Donne, a Goethe e Foscolo; dai libertini del Settecento a Blake, Shelley e Novalis, dalla Dickinson a Verlaine e così via, questo desiderio di elevazione o appagamento di un impulso oscuro, da sempre ha alimentato la lirica come contemplazione estatica, nostalgica o di conflitto.
Insomma, come dice Eliot, “i problemi sono sempre gli stessi, ma assumono forme nuove e la poesia seguita ad avere davanti a sé un’avventura senza fine”.
La vera arte poetica, quella declamata dai grandi, è quindi tutt’altra cosa.
Non ce ne vogliano quei pseudo – poeti (o rimatori) che pubblicano ogni giorno opuscoli o libretti lirici, invendibili: se volete scrivere alcune versi per parenti od amici in occasione di eventi speciali fatevi pure avanti, ma esaltarsi e farsi chiamare aedi o vati ce ne passa.
Lascia una risposta