Rof, Le siège de Corinthe è un capolavoro che entra nella storia del Rof, ma troppi assenti in platea e soprattutto in galleria

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11 agosto 2017

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2017 boccioni d’acqua per sommergerci di bellezza. Musica, voci, scene, costumi, video e una regia coinvolgente, travolgente, ma allo stesso tempo riflessiva, meditativa, perché con le guerre per l’acqua, e per altri beni, non si scherza. E così quando si lotta per la libertà.

Suggestiva la proposizione – in inglese, italiano, spagnolo e russo – del testo di Lord Byron che compose un poema sul tema dell’opera che ha inaugurato il 38° Rof: The siege of Corinth.

Vi chiedo scusa se non racconterò di vip presenti. Non sono mancati i politici e le autorità costituite, ma non credo che i loro nomi possano interessare i lettori. Vi racconto, semmai, che c’erano assenti, tanti assenti, troppi assenti. Che – come si dice in questi casi – hanno avuto torto. Ho contato almeno un centinaio di posti vuoti. Sorprende che fossero anche in Galleria, che propone i biglietti a miglior prezzo (40 euro) e offre una vista anche migliore di quella che si gode dalla platea.

Il maestro Roberto Abbado, encomiabile per non avere saltato prove e prima malgrado un tutore al braccio destro, dà inizio alla sinfonia alle ore 19 e 3 minuti. Tre soli minuti di ritardo, quasi un record per un teatro italiano, ma incombe la diretta radiofonica su Radio Tre.

La conclusione della sinfonia è salutata da applausi convinti e non manca un “bravi” all’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, esordiente al Festival.

Come anticipato dal regista Carlus Padrissa, la platea si riempie di coristi. Ai lati del palcoscenico due teli con le scritte: Mort e Vie, morte e vita. Il tema de Le siège de Corinthe.

Il primo atto dura 60 minuti, che trascorrono così bene che quasi non si crede sia finito, accompagnato da una scena che incanta: tante mani mimano le onde, il mare, mentre in platea vengono portati i “quadri” composti da Lita Cabellut. In scena costumi che hanno colori che portano alla Barcellona degli stilisti più famosi (Desigual, Custo Barcelona).

E le voci? Magnifiche. Aveva ragione il direttore artistico Ernesto Palacio a volere al Rof Luca Pisaroni, il basso-baritono nato a Ciudad Bolivar, ma trasferitosi a Busseto – paese natale di Verdi – già all’età di 4 anni. Un debutto che entra nella storia del Rof, ricordando tal… Samuel Ramey.

Ma che sorpresa Sergey Romanovsky, tenore russo di Mineralny Vody, cittadina termale. Quindi città delle acque minerali. Ovvio che Romanovsky sia a proprio agio in una regia che come tema del conflitto greco-turco ha scelto l’acqua. Debutto da incorniciare, il pubblico lo ha applaudito a lungo e la sensazione è che si sentirà molto parlare di lui, non solo al Rof.

Durante il primo atto, ancora una volta, malgrado l’invito prima dell’inizio, lo spettacolo è stato disturbato – per fortuna lievemente – dal trillo di un telefono. E’ accaduto mentre Pamyra (Nino Machaidze) iniziava a cantare… “Ciel! Sois propice à ma prière…” Cielo, sii propizio alla mia preghiera… fagli spegnere quel maledetto telefono!

Il secondo atto incomincia come era finito il primo: con gli applausi.

Nino Machaidze è applauditissima dopo l’esecuzione di recitativo e Aria Que vais-je devenir?

E che dire del duetto con Mahomet II… un’emozione.

Lo spettacolo propone un lungo spazio di sola musica. Potrebbe essere un momento di stanca, ma Padrissa lo riempie da par suo con la battaglia per l’acqua. E sono ancora applausi. Come quelli dedicati a Cecilia Molinari (Ismène) che fa una “doccia” in scena.

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