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26 aprile 2017
Dai dati del rapporto Eurispes 2016 il cellulare è uno strumento che gli italiani over 18 possiedono al 93,1%, mentre lo smartphone viene confermato come il più diffuso in Italia nella percentuale del 75,7% e i tablet e gli iPad si attestano al 43,3%. L’uso frequente è quello di chiamare o essere chiamati al 99,3%, mentre inviare o ricevere sms si ferma all’85,1% e comunicare tramite WhatsApp al 75,2%. Foto e filmati al 69% e con la moda dei selfie supera il 30%, mentre la navigazione su Internet è del 66,8%; da distinguere però che la quasi totalità è attiva su Facebook, mentre su Twitter, Google, YouTube, Instagram e LinkedIn si afferma alla metà circa.
Media World ha dimostrato, tramite uno studio, che un terzo della popolazione possiede due cellulari, uno per lavoro e l’altro per la vita privata, ma c’è pure chi ne possiede tre.
Ma fermiamoci qui e veniamo ad una sintetica analisi. Non è un mistero che videogames e social networks causino dipendenze che certamente tra qualche anno verranno riconosciute come vere patologie, perché già assistiamo in America a seri tracolli fisici e suicidi di adulti internauti che si muovono nel ciberspazio, o ancor meglio in quel villaggio globale, enunciato da Marshall Mc Luhan, nel quale tutte le distanze sembrano abolite e la partecipazione da protagonista sembra averci riportato ad una dimensione tribale, dove l’uomo è immerso nella comunità che produce effetti pervasivi sull’immaginario collettivo. Siamo tutti addicted (assuefatti), schiavi di questo strumento tecnologico, e nessuno vuole perdere il controllo: i medici dicono che sia una patologia psicologica diffusissima, e lo smartphone è realizzato e si completa per alimentare le nostre ansie. Una dipendenza ribattezzata dagli esperti la “Sindrome di Capitan Uncino” perché, come il popolare personaggio di Peter Pan, costringe le persone a utilizzare solo la mano libera dal moderno “uncino”, il cellulare.
Basta poi dare una occhiata ad alcune persone che Simon Schama definisce “Look down generation”, ragazzi con lo sguardo verso il basso, impegnati con il loro smartphone ad articolare parole o vociare e totalmente avulsi dall’ambiente circostante, con il rischio avventato di un incontro dolente con un albero o un lampione.
Diverse quindi possono essere le motivazioni per molti smartphone-dipendenti, da quelle del divertimento, del contatto con gli amici e parenti, del semaforo rosso, della noia. Ma una cosa certa è che tale oggetto ha ridimensionato la scala di tutte le priorità.
Fatta questa premessa, non è detto che alcuni atteggiamenti accolti come moderni debbano per forza essere accettati per amore di un cambiamento: potranno essere esibiti come normali a patto che non risultino villani e irriverenti. Ma esiste un incondizionato agreement che ci rapporta ai nostri vicini, a coloro che non vogliono essere disturbati da discorsi prolissi, scanditi ad alta voce e di nessuna appartenenza o interesse personale?
Proviamo a tracciare alcuni steps della buona creanza con un succinto vademecum che evidenzi la vacuità dei comportamenti, rifinendoli in parte:
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Il cellulare non deve mai essere posato sul tavolo al ristorante: gli uomini lo devono tenere in tasca mentre le donne dentro la borsa. Non può essere tenuto acceso, pur tuttavia è lecita la vibrazione. Se è necessario rispondere occorre sempre allontanarsi, o meglio ancora uscire dal locale. (Effettivamente tale atteggiamento annulla l’interazione fra persona e persona);
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deve essere sempre spento nei seguenti luoghi: al cinema, a teatro, ai concerti, alle conferenze, nelle biblioteche, nelle mostre, in chiesa, in ospedale, nei musei, in aereo, a scuola, dal parrucchiere e dal barbiere e durante un incontro galante o al primo appuntamento. (E’d’uopo che nei luoghi pubblici consentiti, le suonerie dovrebbero essere sempre tenute al volume minimo, se non altro per non interferire gli addetti lavoranti);
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in auto non dovrebbe essere mai utilizzato; nel caso in cui non se ne possa fare a meno, è d’obbligo l’uso del viva voce o degli auricolari per non violare il codice della strada. Che dire tra l’altro delle oltre 60 mila infrazioni, che secondo la Polizia di Stato è destinato a salire, dovute all’utilizzo del cellulare alla guida di quegli autisti “socialmente educati” ma praticamente incoscienti? Secondo un’analisi condotta dall’Aci, l’80% degli incidenti gravi alla guida è causato dall’utilizzo di telefoni cellulari, il cui uso provoca una disattenzione stimata in 10 secondi. (Tra l’altro possono essere coinvolte diverse persone incolpevoli);
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chi non ha mai ascoltato in treno un simile annuncio: “Si pregano i signori viaggiatori di controllare il volume della suoneria dei cellulari e di abbassare il tono della voce nelle conversazioni per non disturbare i compagni di viaggio”? In treno, quindi, valgono le stesse regole del ristorante: è pertanto consigliabile uscire dalla carrozza per rispondere ad una telefonata. (Per galanteria, un uomo in compagnia di una signora deve sempre tenere spento il telefono cellulare, per non incorrere in severi improperi);
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quanto detto sopra è chiaramente indicato anche per coloro che prendono il tram, la metro, l’autobus, la nave o altri mezzi di locomozione collettivi; (Per la nave basta recarsi a poppa o a prua augurandosi di non disturbare qualche gabbiano, con il rischio di essere bersagliati con prontezza dalla sua biancastra deiezione);
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in molte occasioni, il tentativo di catturare il momento con una foto, o un video, limiterà la capacità di godervelo. Questo vale soprattutto per le foto fatte al piatto preferito, o ai video durante i concerti. Bisogna essere consapevoli di quando è il caso di tirare fuori la macchina fotografica e capire perché la si sta usando. (Smettere di documentare tutto e osservare “de visu” è cosa assai più dilettevole);
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ci rendiamo coscientemente conto di quale ansia perenne sia quello di controllare meccanicamente, ogni mattina, tutte le telefonate, le e-mail e i messaggi ricevuti, come quello di controllare, i vari social di Facebook, Twitter ed altri prima di una sana colazione? (Iniziare allora la giornata con il detto il mattino ha l’oro in bocca: le primissime ore del giorno possono essere espletate per allenarsi, informarsi, riservare rari attimi da dedicare alla cura di sé, prima che gli impegni professionali e sociali reclamino la loro attenzione);
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non c’è cosa più disdicevole che osservare coppie o gruppi di amici nelle piazze, nei giardini o nei punti di ritrovo appartarsi vicendevolmente ognuno col proprio cellulare, ignorandosi totalmente, seppur stando a pochi centimetri l’un l’altro. (E’ poi così rilevante questa utopica attrattiva virtuale?);
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stare ininterrottamente ore al seguito di una visione sui social o di una telefonata fatta o ricevuta raddoppia il rischio di tumori alla testa, e tra l’altro è sintomo di ipo-creatività, poca fantasia, nessun estro e scarsa inventiva. Vuol dire non provare più quelle vere, uniche e rare emozioni che si trovano esercitando un’influenza reciproca solamente con l’altro, fisicamente. Il telefono è utile per comunicare e non, diversamente, per conversare seduti sulla sedia, nel divano o sdraiati a letto sbracciandosi e gesticolando parimenti ad una scimmia forestale del genere Alouatta, erbivora e con voce potente. (Ogni tanto è bene riflettere ed occuparsi anche del resto della famiglia, che inebetita assiste alle vostre sciocche “performance” mimiche e verbali).
Gli specialisti e i competenti non risparmiano consigli per favorirne il distacco: leggete un libro, fate una passeggiata respirando a pieni polmoni, fate visita a un amico o un parente, ammirate un’opera d’arte, ascoltate della buona musica, gustate un gelato o un aperitivo, coltivate una passione per gli animali o il pollice verde, giocate con i passatempi tradizionali quale il biliardino, gli scacchi, la dama e le carte, cucinate a quattro mani con il partner o con un amico, studiate o frequentate un corso a piacimento, fate una bella corsa e andate a ballare.
Siamo tutti connessi, anche 24 ore al giorno essendo consapevoli che lo sono tutti, perché la relazione che vogliamo con le persone è quella di essere sempre, comunque rintracciabile e subito. Con un clic digitale attiviamo la cosiddetta Second Life e cioè “chattare con chi vuoi, e vederti quando vuoi con una persona che nella realtà avresti impiegato mesi per incontrarla”. Ma pure in questo caso esistono tradizioni e principi di buon comportamento condivisibili che si riassumono nel termine Netiquette, che è un insieme di regole che disciplinano la condotta di un utente di Internet nel rapportarsi agli altri utenti, in special modo nello scambio di messaggi tramite e-mail, ma anche criteri che derivano direttamente dal buon senso. Sono da evitare, nella maniera più assoluta tali contegni che costituiscono dei veri e propri crimini elettronici e come tali sono punibili dalla legge: violare la sicurezza di archivi e computer della rete; violare la privacy di altri utenti della rete, leggendo o intercettando la posta elettronica loro destinata; compromettere il funzionamento della rete e degli apparecchi che la costituiscono con programmi (virus, trojan horses, ecc.) costruiti appositamente.
Concludiamo con Jacques Lacan, che nel suo libro lo Stadio dello specchio, asserisce che la propria sembianza riflessa allo specchio assume un ordinamento fondamentale nel permettere il riconoscimento della propria immagine unitaria. “L’essere umano non vede la sua forma realizzata, totale, il miraggio di se stesso, se non fuori di se stesso”. E’ l’effetto dello specchio (Narciso) a restituire virtualmente questa unità ideale, questa perfezione di cui nella realtà non risulta mai, se non in una forma di rielaborazione della propria immagine con la possibilità di ricreare e vedere accettata la sembianza realizzata di se stessi. L’immagine del corpo sostituisce la realtà del corpo; ciò che è investito è l’altro nello specchio e nello stesso tempo il desiderio dell’altro: “Penso là dove non sono; sono là dove non penso”.
Ottimo vademecum della buona creanza perfetto in ogni suo step; Purtroppo l’80% della popolazione non si attiene alle principali norme di educazione infrangendole continuamente.