di Redazione
13 aprile 2016
PESARO – Una gran bella serata. Basterebbero queste quattro parole per definire alla perfezione l’incontro organizzato dal Panathlon Club di Pesaro per l’abituale appuntamento mensile con i Soci. La serata al Flaminio Resort, alla presenza dell’Assessore allo Sport Mila Della Dora, è stata quella passata con Leo Turrini, 56 anni, di Modena, celebre inviato di sport (e non solo) per i quotidiani Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno, apprezzato opinionista di Sky Sport, esperto di Formula 1, Calcio, Ciclismo e Pallavolo, ma anche appassionato di musica, cinema e costume, nonchè autore di diversi libri, che gli hanno permesso tra l’altro di vincere i premi letterari Coni, Beppe Viola, Enzo Ferrari.
La serata è stata aperta dalla Presidente Barbara Rossi, che ha ricordato la recentissima scomparsa del socio Alfio Mengucci. Poi la parola è passata a Turrini, ogni volta “stuzzicato” dalla Rossi su di un argomento diverso. Ne è scaturito un fiume inarrestabile di ricordi, aneddoti, battute, storie di vita vissuta. Una serie di pensieri uno dietro l’altro che è impossibile riportare per intero. Tra tutte, però, vale davvero la pena di ricordare alcune delle sue considerazioni, che hanno lasciato ai presenti la possibilità di meditazioni niente affatto banali. Ecco, allora, la differenza tra i Campioni in carriera, eroi che sembrano invincibili e inattaccabili, a confronto con la loro debolezza di essere umani nella vita di tutti i giorni; così come la capacità degli atleti di riempire la nostra vita quando sono in azione, a confronto con il vuoto improvviso ed incolmabile che lasciano alla loro scomparsa. “Lo sport dona bellezza – ha detto ad un certo punto Turrini nel corso dei suoi “Racconti di Grandi Storie di Sport” che hanno animato la serata – ma alcune volte ci fa soffrire: come tifosi, quando le gesta sportive dei nostri beniamini non corrispondono ai nostri desideri; ma anche come cittadini, quando scopriamo cose “che non vanno bene” nei loro comportamenti da atleti”.
Eppure, lo sport merita sempre di essere raccontato per quello che ci lascia dentro. Magari attraverso le azioni o le “opere” dei singoli Campioni, alcuni dei quali Turrini ha conosciuto bene; come Bartali, che (insieme a Coppi) “ha ridato identità a un popolo che voleva rimettersi in piedi”; come Pantani: “Forse vittima di un complotto, prima di tutto di tipo mediatico. Lo hanno fatto passare per un baro, in un mondo dove tutti facevano quello che ha fatto Marco. Era il più forte, anche nei confronti di Armstrong, ma debole dentro, così hanno scelto lui come capro espiatorio”. Come Enzo Ferrari: “Un uomo che fin dalla giovinezza ha creduto profondamente in un sogno che ha saputo realizzare, anche a prezzo di enormi fatiche e sacrifici”. Come Ayrton Senna, che Turrini riportò idealmente a casa, dopo la sua scomparsa ad Imola, viaggiando nello stesso aereo accanto alla sua bara: “Senna non fu semplicemente un pilota. In Brasile, paese all’epoca affetto più che mai da endemiche povertà e ingiustizie sociali, era il simbolo di un riscatto di identità nazionale e sociale pari a quello della nazionale di calcio, che pochi mesi dopo avrebbe vinto il suo quarto titolo, negato invece per sempre al pilota”.
Lascia una risposta