Giovedì Santo, l’omelia del vescovo Trasarti in Cattedrale a Fano

di 

24 marzo 2016

FANO – Tanti fedeli hanno partecipato oggi, giovedì 24 marzo, Giovedì Santo, nella Cattedrale a Fano alla Santa Messa Crismale presieduta dal vescovo Armando Trasarti. Il sito fanodiocesi.it riporta il testo integrale dell’omelia:

Il vescovo Armando Trasarti durante la messa del Giovedì Santo

Il vescovo Armando Trasarti durante la messa del Giovedì Santo

Giovedì Santo 2016
Messa Crismale

Al centro della liturgia di questa mattina sta la benedizione degli oli sacri – dell’olio per l’unzione dei catecumeni, di quello per l’unzione degli infermi e del crisma per i grandi sacramenti che conferiscono lo Spirito Santo: Battesimo, Confermazione, Ordinazione sacerdotale e Ordinazione episcopale. La Messa Crismale è quasi epifania della Chiesa, corpo di Cristo, organicamente strutturato, che nei vari ministeri e carismi esprime, per la grazia dello Spirito, i doni nuziali di Cristo alla sua sposa pellegrina nel mondo.

La nuova fisionomia, attribuita alla riforma post-conciliare alla Messa crismale, rende ancor più evidente il clima di una vera festa del sacerdozio ministeriale all’interno di tutto il popolo sacerdotale e orienta l’attenzione verso il Cristo, il cui nome significa “consacrato per mezzo dell’unzione”.

Il rito della benedizione degli oli, inserito nella celebrazione eucaristica, sottolinea pure il mistero della chiesa come sacramento globale del Cristo, che santifica ogni realtà e situazione di vita.

Noi ci chiamiamo “cristiani”: “unti” – persone che appartengono a Cristo e per questo partecipiamo alla sua unzione, sono toccate dal suo Spirito. Non voglio soltanto chiamarmi cristiano, ma voglio anche esserlo, ha detto Sant’Ignazio di Antiochia. Lasciamo che proprio questi oli sacri, che vengono consacrati in quest’ora, ci ricordino tale compito intrinseco alla parola “cristiano” e preghiamo il Signore affinché sempre più non solo ci chiamiamo cristiani, ma anche lo siamo.

Carissimi presbiteri e consacrati, il ricordo del nostro sacerdozio, il rinnovo delle promesse sacerdotali e l’istituzione dell’Eucaristia ci offrono l’occasione per riflettere e meditare, come consuetudine, sul nostro ministero.

Il ministero presbiterale va assiduamente ricompreso nel contesto delle comunità eucaristiche nelle quali la Chiesa locale vive diffusa e protesa dentro un territorio (che istituzionalmente chiamiamo parrocchie) ed è a servizio del sacerdozio comune dei fedeli. I presbiteri che presiedono le comunità trovano nel Cristo eucaristico “il principio e la fonte della unità di vita”. Al Cristo, “principium et fons” corrisponde, nei presbiteri, il dono della caritas pastoralis (Vat II, Decreto Presbiterorum ordinis, n. 14).

La spiritualità del presbitero è dunque spiritualità eucaristica: egli infatti, “uomo eucaristico”, mentre “è ammesso a fare” Eucaristia è “fatto” Eucaristia per il suo popolo. Si realizza così, proprio attraverso il ministero presbiterale, a favore della comunità, la consegna di Paolo ai Tessalonicesi: “in ogni cosa rendete grazie (en pantì eukaristéite): questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1 Ts 5,18).

La cura di noi stessi

Siamo stati abituati a pensare che siamo noi a prenderci cura della fede, della vita e della formazione degli altri e che, sempre, a partire da noi, dobbiamo avere cura di noi stessi, dalla vita fisica e materiale a quella spirituale e ministeriale. Se un presbitero non si prende cura di sé, vista la sua scelta celibataria, chi penserà a lui? Siamo abituati a pensare, e lo ri-presentiamo ogni Giovedì Santo nella Messa in  Coena Domini, che siamo chiamati a lavare i piedi agli altri, e non ci passa per la mente né permettiamo ad altri di lavarci i piedi. E’ vero, Cristo ha cura di noi, vive in noi, opera in e con noi, e noi viviamo e amiamo in e con Lui: ma la sua cura non arriva a noi in maniera magica o prodigiosa, bensì vuole raggiungerci attraverso la premura dell’intera comunità cristiana. Per troppo tempo abbiamo nascosto la nostra umanità e la nostra debolezza dietro le funzioni legate al ministero. Prima ancora di essere presbiteri, siamo uomini e discepoli di Cristo, e lo rimaniamo anche dopo l’ordinazione.

Perché non ammettere che la comunità cristiana è chiamata a prendersi cura della nostra persona, della nostra vita e della nostra formazione? Perché non dirci e dire chiaramente che abbiamo bisogno che qualcuno ci lavi i piedi per poter a nostra volta lavarli agli altri? Ne abbiamo proprio bisogno per lenire le nostre ferite, i nostri fallimenti pastorali, le aspettative incompiute, i rancori per le inadempienze proprie e altrui, le cocenti delusioni nei confronti dei confratelli e di noi stessi, le incapacità ad essere presbiterio concorde e collaborativo, le paure per il presente e il futuro delle nostre chiese…

Di qui l’attenzione posta dai Vescovi ad alcune dimensioni fondamentali: il percorso formativo assicurato dal Seminario, i criteri di ammissione e di valutazione e, soprattutto, l’investimento per educatori di qualità; “le modalità con cui esercitare l’autorità episcopale, con l’impegno prioritario a curare la paternità nei confronti dei propri sacerdoti e il loro senso di appartenenza al presbiterio – approdo indispensabile per qualunque riforma -, ambiente vitale di fraternità vissuta in esercizi di comunione, condivisione e corresponsabilità pastorale; la cura della vita interiore sulla base di una regola di vita, dove la fede – il rapporto con Gesù Cristo – rimane la questione veramente essenziale; l’esercizio del ministero – la carità pastorale – quale risposta appassionata di sequela evangelica e disponibilità a tempo pieno per i reali bisogni della gente”. (Comunicato finale  Consiglio permanente CEI.14-16 marzo 2016. In preparazione alla Prolusione di Papa Francesco all’Assemblea di Maggio)

Come nell’Eucaristia, così nel ministero: siamo degni, non per particolari meriti personali o prestazioni morali, ma perché amati e perdonati ogni giorno dal Signore, perché ogni giorno rivestiti da Lui dell’abito della festa. Abbiamo bisogno che tutto ciò passi attraverso le nostre comunità cristiane. Rimaniamo infatti inseriti nella trama di relazioni attraverso le quali lo Spirito, a partire dall’Eucaristia, edifica continuamente la comunità cristiana. Questa può prendersi cura di noi, della nostra persona e contribuire a quella maturità umana e spirituale necessarie all’esercizio del nostro ministero.

“E’ proprio toccando nel misero la carne di Gesù crocifisso che il peccatore può ricevere in dono la consapevolezza di essere egli stesso un povero mendicante. Attraverso questa strada anche i ‘superbi’, i ‘potenti’ e i ricchi di cui parla il Magnificat hanno la possibilità di accorgersi di essere immeritatamente amati dal crocifisso, morto e risorto anche per loro” (Messaggio per la Quaresima 2016 di Papa Francesco)

La reciprocità tra sposi e presbiteri.

Chiamati insieme all’amore. (Lettera alle famiglie. Pasqua 2015.Vescovo Armando).

“Prete e famiglia sono fatti l’uno per l’altro: portano infatti la stessa responsabilità, hanno la medesima paternità e la medesima maternità, hanno gli stessi impegni di fedeltà, fecondità, unità. Dall’unico mistero nuziale scaturiscono diversi stati di vita che, nella reciprocità, cantano l’unica sinfonia dell’Amore” (Lettera alle famiglie 2015. Pag. 22).

C’è una solitudine condivisa con tutti gli esseri umani, l’impegno a essere se stessi, ma anche una solitudine insita nel nostro ministero, legata alla scelta celibataria e anche al servizio della presidenza. Chi presiede spesso attraversa momenti in cui non si sente compreso in quanto la prospettiva che egli ha sulla vita della comunità è unica. Bisogna avere il coraggio di abitare questa solitudine perché, analogamente al mistero degli sposi cristiani, ci accorgiamo che non si tratta di una solitudine in cui siamo dimenticati e abbandonati, ma in cui siamo consegnati e affidati a Qualcuno.

Come uno sposo è affidato alla sposa e viceversa, anche un presbitero, solo insieme agli altri, è affidato dal Signore prima di tutto alla famiglia dei propri fratelli che è il presbiterio con il suo vescovo e  poi ad una famiglia concreta che è una porzione del popolo di Dio che vive nel territorio di una diocesi, ed è la comunità parrocchiale.

Una dimensione di famiglia non può mancare nella vita presbiterale. “Per farsi padri e maestri in virtù del sacramento dell’ordine bisogna farsi fratelli degli uomini”(Paolo VI. Ecclesiam Suam).

Anche il presbitero, nella scelta celibataria, è chiamato ad essere persona capace di intimità. L’intimità data dal vincolo di amore, anche se assume due modalità diverse nei due rispettivi stati di vita, è la capacità di sostenere e ridonare a nostra volta uno sguardo che coglie la nostra nudità, va in profondità e ci salva. Tale sguardo pone nella verità di noi stessi, della nostra fragilità e aiuta a costruire su di essa, e non senza tener conto di essa, le nostre esistenze celibatarie o matrimoniali (cfr Nouwen Henri. Il guaritore ferito. Il ministero nella società contemporanea)

Presbiteri o presbiterio?

Tante derive umane in cui cadono diversi presbiteri iniziano nel momento in cui questi cominciano a isolarsi dal vescovo e dal presbiterio, oppure si limitano a intrattenere un minimo di relazione formale senza sentire l’afflato di una famiglia. Quest’afflato dinamico prende forma dall’evento eucaristico e si alimenta e ricostituisce continuamente a  partire dall’Eucaristia del vescovo.

Enumero alcune azioni conseguenti alla celebrazione eucaristica, grazie alle quali il presbiterio si rinfranca e grazie alle quali può vivere.

La prima è radunarsi. Quando un presbitero comincia a eclissarsi o a isolarsi, perché il presbitero della parrocchia vicina o un presbitero amico non gli si fa vicino per incoraggiarlo a non recidere il suo legame con il presbiterio, il presbiterio stesso intristisce e inaridisce..

La seconda azione è narrarsi la Parola. Il rischio è che ci si raduni solo per elaborare strategie pastorali o per condividere delusioni e amarezze pastorali. Non va data per presupposta la fede di noi vescovi e presbiteri.

La terza azione è nutrirsi l’un l’altro. Come ci siamo nutriti di Cristo, è necessario che tra presbiteri ci si nutra l’un l’altro con l’offerta della propria vita, con la benevolenza, con il servizio reciproco, con la testimonianza, con l’incoraggiamento e la misericordia. La misericordia ricevuta e condivisa è il pane quotidiano di cui abbiamo bisogno per vivere.

La quarta azione è andare. Il presbiterio è una “comunione missionaria”. Pur inviato a una parrocchia, o rivestito di un altro ministero, ogni presbitero è chiamato a camminare, con il ritmo della Chiesa locale dove per altro vive la Chiesa universale, condividendo pienamente la vita e l’orientamento della propria Diocesi.

Carissimi, aiutiamoci tutti a essere famiglie o presbiterio o comunità diaconale o consacrati/e, ecc. che escono da se stesse, da forme di egoismo e ripiegamento individualistico e da forme di eccessiva preoccupazione dei propri interessi; aiutiamoci ad aprirci a un’attenzione più grande nei confronti di persone e comunità che abitano accanto a noi, ma che spesso vengono ignorate.

Non perdiamo questo tempo di Misericordia. Lo chiediamo per l’intercessione materna della Vergine Maria, che per prima, di fronte alla grandezza della misericordia divina a lei donata gratuitamente ha riconosciuto la propria piccolezza (cfr Lc 1,48), riconoscendosi come l’umile serva del Signore (cfr Lc 1,38). Amen

Cattedrale di Fano
Giovedì Santo 2016

                                                                                                    + Armando  vescovo

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>