19 agosto 2015
E’ il giorno del ritorno a scuola: la nuova Consultinvest si è radunata oggi alle 18,30 al vecchio palas. Nessun allenamento: solo un ritrovo dei giocatori biancorossi con la consegna del materiale ma con libero accesso ai tifosi che volevano conoscere da vicino i nuovi acquisti e rivedere i “vecchi”. L’incontro è stato celebrato con un selfie che ha unito il vecchio al nuovo, le origini alla nuova pelle delle Vuelle (PER SAPERNE DI PIU’ CLICCA qui). Cogliamo l’occasione per pubblicare questa bella intervista, profonda e poco scontata, che ci ha concesso coach Paolini, uno che viale dei Partigiani l’ha vissuto contribuendo a scrivere le pagine più belle del basket pesarese.
PESARO – Chiudete gli occhi e provate a visualizzare un’immagine in bianco e nero, magari un po’ sbiadita. Siamo a fine anni sessanta, Palas di Viale dei Partigiani, alcuni bambini rincorrono una palla a spicchi, accarezzati con lo sguardo dal loro allenatore. Quel campetto comincia a raccontare una bella storia, una delle tante generate dalla pallacanestro pesarese. Padre e figlio fanno parte della stessa istantanea, ovviamente con ruoli diversi.
“Mio padre Carizio era da poco diventato istruttore di pallacanestro (allora si diceva così) della Victoria Libertas e fu anche il mio insegnante. Ne ho un gran ricordo, sia come allenatore che, soprattutto, come genitore. Aveva un modo tutto suo di stare in palestra: con un atteggiamento distaccato, eppure quel che diceva veniva subito recepito dai suoi ragazzi. Mi piacerebbe essere come lui…ma non lo sono. Dunque, come allenatore, meglio essere me stesso piuttosto che inseguire il modello di mio padre.”
Riccardo Paolini, coach della Consultinvest Pesaro, mi riceve nella sede sociale, in un caldissimo pomeriggio estivo, scortato dal suo fido vice Umberto Badioli. Quest’ultimo sta visionando alcuni video dei futuri giocatori della Vuelle; mi piacerebbe sbirciare, ma non mi sembra elegante. Tanto più che queste poche righe non riguarderanno affatto la prossima stagione e la nuova squadra; chi a solo questo è interessato, eviti pure di perdere tempo.
Paolini junior e i suoi cinquant’anni di palla al cesto. Gli anni da giocatore, anzi da “bassissimo giocatore”, nelle varie categorie giovanili, poi qualche stagione nelle serie minori, da senior, fino ad imboccare la strada di insegnante di pallacanestro, seguendo i geni di famiglia. “Per una quindicina di anni ho allenato nelle giovanili della Victoria Libertas, cominciando con le annate del 66/67 , con Minelli e Del Prete, e del 73. E sì…ad alcune squadre, ad alcuni ragazzi ho voluto molto bene!” Poi, nell’ambito di un naturale sviluppo, la sua carriera è proseguita con le chiamate per allenare i giocatori professionisti, fino ad arrivare alla prima serie. Todi, Fossombrone, Roseto degli Abruzzi, Sassari, Agrigento, Perugia e Firenze sono le altre piazze in cui ha portato la sua pallacanestro.
Ve lo dico francamente, di quest’uomo mi colpiscono modestia ed equilibrio. La sua vita professionale, per esempio, anche ora che allena in serie A, non è fatta di solo basket. “Sono insegnante di sostegno e desidero continuare ad esserlo. La scuola non è un peso, anzi mi dà tanto e sono felice di esserne parte; e poi mi serve come valvola di sfogo, altrimenti penserai alla mia squadra 24 ore 24. Ogni giorno imparo qualcosa dagli altri insegnanti e dagli studenti. Ogni anno mi devo confrontare con ragazzi che hanno problemi e caratteri diversi; devo cercare di capirli per interagire con loro prima possibile. E comunque, alla fine di tutto, una classe scolastica non è così diversa da una squadra di pallacanestro”
Lo sport come scuola di vita e come educazione. Professor Paolini, nell’ambito del percorso di formazione scolastica, l’attività fisica non sembra essere al centro del pensiero dei nostri governanti.
Lei, che è uomo di sport e di scuola, ha una ricetta da proporre? “Sicuramente aumenterei il numero di ore scolastiche dedicate all’educazione fisica e, soprattutto, ne anticiperei l’insegnamento alla scuola materna, utilizzando i tanti laureati in scienze motorie. Ritengo, inoltre, dovremmo considerare il modello statunitense che tende ad evitare la specializzazione precoce: i ragazzi devono diversificare il più possibile gli sport. Lo scorso anno, da responsabile del settore giovanile della VL, avevo contattato i colleghi di alcune società locali di rugby e calcio, per organizzare degli interscambi fra i vari praticanti. Mi ha colpito il commento di un dirigente calcistico: I ragazzi che vengono dalla pallacanestro si riconoscono subito, sono quelli che giocano a testa alta e sanno dove passar la palla. La pratica di ogni sport crea delle connessioni fra mente e corpo che al momento giusto vengono riconosciute e richiamate.”
Coach, qual è la sua idea di pallacanestro? “Mi piace il lavoro con i giovani, cercare di migliorare i cosiddetti fondamentali, alzare il livello di squadra anche attraverso il miglioramento dei singoli giocatori. E poi, certo, vorrei giocare difesa e contropiede…ma spesso anche l’avversario vuole giocare così”.
La storia recente, dalle nostre parti, la conoscono anche vecchi e bambini. Tornato a Pesaro per guidare il settore giovanile, a coach Paolini è stato chiesto, a metà campionato, di sedersi sulla panchina della prima squadra per provare a condurla alla salvezza. Che responsabilità dover essere il condottiero della squadra della propria città; quanti dubbi prima di accettare, anche per rispetto nei confronti di Sandro Dell’Agnello, del quale doveva prendere il posto. Ma era una di quelle opportunità che capitano raramente, da non rifiutare. Ed è finita in modo trionfale: abbiamo ancora negli occhi l’epica partita spareggio contro Caserta.
Di quella giornata vorrei ritagliare una dichiarazione che il nostro coach ha reso nel post partita. In un contesto, quello sportivo professionistico, dove tutti, dai giocatori agli allenatori, vorrebbero dimostrare di poter padroneggiare qualsiasi emozione, di essere in grado di fronteggiare qualsiasi situazione, Paolini, al contrario, ammetteva che qualche ora prima della contesa era attanagliato dall’emozione, si sentiva un po’ svalvolato. “Poi ci ha pensato questo signore al mio fianco (Umberto Badioli). Mi ha preso da parte, abbiamo chiacchierato per tre quarti d’ora, di tutto fuorché di pallacanestro. E sono ritornato sulla terra. Fra me e lui c’è stima reciproca e amicizia. Il lavoro insieme un giorno potrebbe non esserci più: nessun problema, resterebbe tutto il resto”.
Riccardo Paolini, istruttore di pallacanestro, una persona perbene.
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