18 agosto 2014
Il viaggio apostolico di Papa Francesco in Corea del Sud ha avuto un grande significato dal punto di vista dell’interesse che la Chiesa nutre nei confronti dei popoli martoriati – dal punto di vista religioso – dell’Asia. E significativo è stato il forte appello ai giovani affinché si facciano carico delle proprie responsabilità di fedeli annunciando il Vangelo di Gesù Cristo con forza, energia, entusiasmo. E’ tornata alla mente la frase di un anonimo del XVI secolo: “Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani. Cristo non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini sui suoi sentieri. Cristo non ha labbra, ha soltanto le nostre labbra per raccontare di sé agli uomini di oggi. Noi siamo l’unica Bibbia che gli uomini leggono ancora; siamo l’unico messaggio di Dio, scritto in opera e in parole”.
Altrettanto incisivo è stato il messaggio che Francesco ha voluto lasciare ai coreani (ma in realtà a tutte le Chiese dell’Asia) durante l’omelia della messa conclusiva: “Questo è il messaggio che vi lascio a conclusione della mia visita in Corea. Abbiate fiducia nella potenza della croce di Cristo! Accogliete la sua grazia riconciliatrice nei vostri cuori e condividetela con gli altri! Vi chiedo di portare una testimonianza convincente del messaggio di riconciliazione di Cristo nelle vostre case, nelle vostre comunità e in ogni ambito della vita nazionale. Ho fiducia che, in uno spirito di amicizia e di cooperazione con gli altri cristiani, con i seguaci di altre religioni e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà che hanno a cuore il futuro della società, voi sarete lievito del Regno di Dio in questa terra. Allora le nostre preghiere per la pace e la riconciliazione saliranno a Dio da cuori più puri e, per il suo dono di grazia, otterranno quel bene prezioso a cui tutti aspiriamo. Preghiamo dunque per il sorgere di nuove opportunità di dialogo, di incontro e di superamento delle differenze, per una continua generosità nel fornire assistenza umanitaria a quanti sono nel bisogno, e per un riconoscimento sempre più ampio della realtà che tutti i coreani sono fratelli e sorelle, membri di un’unica famiglia e di un unico popolo. Parlano la stessa lingua”.
E’ indubbio che questo viaggio apostolico, affrontato nel mese di agosto, quando in Europa tutti pensano alle vacanze e le stesse parrocchie sonnecchiano, è stato un monito a farsi trovare pronti nell’esercizio della fede, e un chiaro messaggio di carattere politico a quei governi, come la Corea del Nord, che ancora rifiutano la libertà religiosa. Un ponte di parole e gesti costruito per far capire che la Chiesa non è un pericolo, ma un’opportunità di dialogo e confronto, pacifico, senza pretese.
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