Era così facile quando Eivissa era ancora quella di Sandy Marton magro, che suonava la tastiera a tracolla agitando il ciuffo, mentre gli italiani, a ritmo di People from Ibiza, erano i padroni dell’isola. Erano gli anni ’80 e sulla spiaggia, come nelle prime disco, gli yuppies de’ noantri, figli del capitalismo rampante, lasciate le Volvo station wagon in leasing nei garage, non badavano a spese. Eravamo un po’ tutti Jerry Calà e non sapevamo ancora che il mondo, prima o poi, ci avrebbe presentato il conto. Perché il mondo, quel mondo, era più piccolo, non esistevano selfie, condivisioni e reti sociali, i russi e cinesi erano solo nei film di James Bond e Bruce Lee, i tedeschi erano ancora quelli coi capelli corti sopra e lunghi dietro. E noi, con la liretta al cambio con la peseta, facevamo un figurone.
Altra storia adesso.
Con una premessa: fatti, personaggi e riferimenti di queste righe non sono puramente casuali ma frutto di una vacanza. La mia.
IBIZA ATTO TERZO
In passato ero già stato a Ibiza due volte e, in generale, tre volte alle Baleari. Dopo 4 anni, la scorsa settimana, ci sono tornato con la mia ragazza e ho trovato un’isola intatta nella leggerezza e nella creatività che si respira, forse ancora più brillante nella follia, ma profondamente diversa in chi ora la vive e la fa girare. Nel bene e nel male.
Sono migliorate le strutture (dall’albergo a 5 stelle Ushuaia, con le sue formiche giganti e le sue stanze da 500 a oltre 2000 euro a notte, all’Hard Rock Hotel e i suoi ospiti internazionali), sono stati ottimizzati i collegamenti (tra autobus, taxi e motorini o auto da affittare c’è solo l’imbarazzo della scelta e la benzina costa molto meno che in Italia) e sono migliorati pure i sentieri per scendere nelle calette (le mie preferite) che, una volta, erano accessibili solo se eri una via di mezzo tra Tom Cruise in Mission Impossible e Reinhold Messner in infradito.
LE SALINES
Prendete le Salines, la spiaggia-riserva naturale più alla moda dell’isola dove sulla lunga striscia di sabbia bianca si alternano “bagni” a pagamento a 4 stelle e spazi liberi tappezzati di asciugamani. Ci si può arrivare sia in autobus (3 euro) che con il Cayenne (il parcheggio a pagamento, gigantesco, garantisce posti per tutti).
Chi spende zero euro e si porta l’acqua del “supermercado” si trova di fianco a chi spizzica svogliatamente sotto l’ombrellone fritture di calamari da 40 euro e sorseggia drink in coppe grosse come vasi. Lì, allo stesso tempo, vedi sfilare gli animatori delle discoteche più note, già in abiti di scena dalle 14.30 in poi, per promuovere le loro serate (sempre diverse ogni giorno della settimana), e i venditori abusivi che vengono inseguiti sull’arenile dalla polizia permanente. L’alto e il basso si mischiano, la Milano da bere insieme alla borgata assetata, non solo d’acqua, diventano la stessa cosa.
VICOLO, SPAZIO, PUBBLICITA’
Spettacolo y spettacolo. Come i cartelloni giganteschi che per strada ti ricordano le serate in disco: il Flower Power, la Troya, il Circo Loco al DC10… In giro ci sono le migliaia di riduzioni e coupon pronti all’uso, decine e decine di riviste gratuite sponsorizzate dai locali, centinaia di punti vendita sparsi un po’ ovunque. Ogni angolo è business: dal minimarket (sì, anche al minimarket, si vendono le entrate per le discoteche) ai bar passando per ogni altro genere di negozio.
I casi sono due: o ti fai mettere al polso i bracciali impermeabili che poi ti garantiranno l’ingresso nel locale ricevendo attimi di tregua, oppure ti metti in tasca i biglietti consapevole che a ogni due metri ci sarà qualcuno che ti fermerà chiedendoti: “Privilege tonight?”, “Hola, Matinée Amnesia?”… Non si sfugge.
I NUOVI VU’ CUMPRA': GLI ITALIANI
Intanto, salta all’occhio, una piccola ma significativa rivoluzione copernicana: i marocchini con finte Vuitton e cuffie Beats tarocche sono in minoranza. Quasi disorientati. Perché tra indiani Apache che propongono braccialetti piumati, brasiliane che vendono abiti succinti a 22 euro (il defilè in spiaggia, al confine con lo spogliarello, è generoso nel cambio abito per gli occhi dei turisti: dicesi marketing indovinato), sudamericani che urlano senza sosta “Cervezita” e smerciano dalle loro borse frigo birra, coca-cola e macedonie, spagnoli che preparano e vendono mojito sotto l’ombrellone, spiccano i nuovi venditori abusivi, gli italiani.
Dalla ragazza di Gubbio che fa affari vendendo le coroncine di fiori che richiamano al mondo Hippy, molto in voga nell’isola tra le ragazze, al marchigiano che cerca di fare affari con bracciali “rituali” da mettere al polso dopo aver ringraziato il sole. Perché a minchionerie, noi, siamo sempre i primi.
Compresi quei due “business men” del sud Italia che, cappellino di paglia in testa e cellulare caldo all’orecchio, piazzano con nonchalance svariati grammi di marjiuana sotto l’ombrellone. “Che vuoi, anche noi lavoriamo qui da maggio… Gli affari? Non ci possiamo lamentare ma non si fanno sconti” spiegano, in italiano, ovviamente a voce alta, a un marocchino che gli chiedeva sconti sui prezzi. “Questa è cresciuta in casa, naturale al cento per cento, non sa di incenso quando la fumi…” illustrano il prodotto. Insomma, anche qui, si può dire, il rigore di Draghi continua. Chiamatela fuga alternativa di cervelli contro la disoccupazione italiana.
HANNIBAL… E SUAREZ
Intanto, proprio in questi giorni la polizia di Ibiza è alla ricerca di spacciatori di “Cannibal”, il potente allucinogeno che ti trasforma in “zombi cannibale” o, se preferite, in Suarez della situazione. Il Diario di Ibiza, il periodico locale, parla di un turista che avrebbe azzannato un agente. L’anti-droga è sempre più convinta che l’isola sia diventata una specie di laboratorio internazionale dove testare nuove droghe. Le cavie? I turisti. Intanto, i pali della luce sono tappezzati di volantini su avvistamenti di unicorni…
COME IN UN FILM. RESTA DA DEFINIRE IL GENERE…
Il senso di malinconia, lo confesso, un po’ mi assale. Anche perché, da lontano, l’Italia appare ancora di più con le pezze al sedere. Basta fare il confronto con i canali tv: sulle altre tv internazionali ci sono programmi in diretta e dibattiti in studio. Da noi, se va bene, becchi la replica della Signora in Giallo. Tutto questo mentre nel mio borsello si moltiplicano i tagliandi per le disco.
Ma dura poco. Perché il quadro, nell’insieme, è quasi da film dei Vanzina. E allora nell’isola del tutto è possibile il sorriso torna subito. Avete presente quelle partite tra qualcuno e il resto del mondo? Ecco. Tutti, dall’indiano all’italiano, formano infatti una grande famiglia clandestina: c’è il companero con il cilindro in testa e vassoio in mano che porta i cocktail illegali in giro per la spiaggia e la companera che fa il palo e avvisa tutti, italiani compresi, in caso di arrivo dei vigilantes. La scena ricorda quella di Febbre da Cavallo, con Montesano che per non pagare il biglietto del treno, ed evitare il controllore, era costretto a fare su e giù per i vagoni: in pratica, la tratta, se la faceva a piedi.
Paese che vai, usanze che trovi. I luoghi comuni in vacanza emergono: gli inglesi, ormai tutti “geordie”, muscoli in evidenza e canotta ascellare, non si muovono dalla piscina e dalle 17 iniziano a bere, gli olandesi li vedi partire in bici con il casco in testa e i figli infilati nello zaino casco, i francesi sono i più free e fanno tutto col sorriso, gli spagnoli sembrano sempre rilassati. Gli italiani? Ovviamente costantemente a caccia di donne. Anche se l’inglese lo parlano come mio nipote di 11 anni e lo spagnolo si ferma a “Vamos a la playa” e “No tengo dinero”. In compenso non parlano, urlano. E i biglietti delle disco, ormai, si contano a centinaia…
LE DISCOTECHE, OVVIAMENTE
Le discoteche, ovviamente. Anche qui l’inversione di tendenza, rispetto all’Italia, è indicativa. Da noi si tende ad escludere, a creare l’elite, il privè esclusivo. Per la gioia dei soliti pochi. Qui, no. Non solo corpi scolpiti tra chi sfila in spiaggia con i cartelli dei locali in evidenza, anzi.
La parola d’ordine è stupire ma coinvolgendo, senza dare l’impressione di qualcosa di inarrivabile. Anche perché Ibiza è l’isola del non stereotipo, delle mille tendenze e delle sfumature in cui solo gli italiani, in netta diminuzione tra quelli ufficialmente in vacanza, danno l’idea di volerti sempre fregare col sorriso.
Dalla “cresta” del tour operator sulla battello per Formentera alla bevuta pre-disco dove i “butta dentro italiani” sembrano essere andati a ripetizione di “marcatura a uomo” da quella nota linea di abbigliamento sportivo con la maglia a strisce.
La selezione, poi, tanto la fa il prezzo del biglietto: al Pacha, istituzione dell’isola, si pagano 47 euro in prevendita (senza consumazione) o 60 alla cassa (senza consumazione). Prezzi che lievitano a 70 per il giovedì sera quando il dj resident è Bob Sinclar. Un Gin Lemon, all’interno del locale, in un bicchiere col diametro di una moneta, costa 20 euro.
Troppi? Sicuramente ma solo per gli standard medi italiani. Medi: perché, ovviamente, ci sono anche gli italiani ricchi. Quelli che solitamente sono di stanza a Formentera, come i calciatori, e si possono permettere di rinfrescarsi nei tanti locali in riva al mare dove una bottiglietta d’acqua da mezzo litro costa 8 euro. Intanto, sul comodino della mia camera d’albergo, si accumulano riduzioni su riduzioni dei locali.
LA GAZZETTA AL MINIMARKET
Gli italiani, al giorno, li riconosci invece dalla busta della spesa fatta al supermarket. Potere della crisi che all’estero, in rapporto agli altri, diventa lampante. Per molti è già tanto esserci, in vacanza. A meno che tu, come spiegavo prima, non sia un calciatore (vedi foto) o qualcosa di simile a livello economico.
Per inglesi, russi e tedeschi, invece, la parola d’ordine è soprattutto spendere e spandere. Così, mentre capita di vedere un distinto signore milanese sui 50 anni che, con destrezza invidiabile, finge di guardare se ci sono teli da mare in vendita e intanto legge la Gazzetta piegata nel porta riviste del market, non puoi fare a meno di ignorare l’avvertimento della moglie: “I giornali italiani in Spagna costano un’ira di dio, non lo comprare”. Per la cronaca: 20 centesimi in più. Ma, si sa, c’è la crisi. Internet? Peggio: zero wireless gratis, si paga tutto. E tanto.
I MENU’ IN ITALIANO NON ESISTONO PIU’
Anche a Cala Salada, dove ora c’è un nuovo sentiero che permette l’ingresso anche alle famiglie e ai bambini (prima bisognava arrampicarsi sulla roccia, tra gli scogli, per 100 metri costeggiando il mare). L’ultima volta c’ero stato nel 2010: adesso, anche qui, alle 14.30 fa capolino l’uomo-mojito clandestino da spiaggia. Costo: 5 euro. Quasi onesto, considerando che nei bar si paga dai 10 euro in su.
Cala Bassa come Cala Salada, attaccata a Cala Conte, sulla strada per Cala Tarida, sono ormai colonie franco-spagnole-tedesche, con gli italiani a sfoderare panini al salame in spiaggia e tedeschi e francesi a mangiare nelle decine di ristoranti vicini che nel menù non contemplano più l’italiano come lingua: traduzioni solo in tedesco, francese inglese e russo. Sono loro quelli che spendono. Anche all’aeroporto l’italiano (vedi foto) è ormai un optional.
Per rivalutarci arriva in soccorso un senegalese di Bilbao: “Italiani? Sempre a tirare sul prezzo… Però tenete il corazon. Inglesi e tedeschi non comprano mai da noi venditori da spiaggia: loro vogliono solo merce originale, voi vi accontentate. Però volete fregarci sempre. Anche per un solo euro”. Non proprio una rivalutazione ma ci si deve accontentare.
Guarda a parte che sinclair x e al sabato e non al giovedi analisi fantastica e centratissina…
Lavoro ad Ibiza a spot ( una settimana al mese più o meno)…e’ davvero cosi..
Gli italiani che lavorano a Ibiza da anni son quasi felici di essere un po meno italiani.. E la cosa stupenda e che c e’ chi ora mi scrive e mi dice … Tu che ci lavori hai una bazza x un appartamento , le disco, qui e la’.. Si tesoro la bazza c e’ .. Se sei bona puoi farti 4 vasche nella marina botafoch qualcosa succede… Se sei un uomo prendi dei pezzi viola… Quella e l unica bazza!!!