21 gennaio 2014
PESARO – Potete immaginare il mio stupore quando, qualche settimana fa, mi sono imbattuto nel profilo facebook del mio caro vecchio professore di inglese dell’ I.t.c. Bramante; non ne avevo notizia dai tempi della lontana maturità. Per farla breve, abbiamo deciso di incontrarci. Piccolo particolare: a maggio compirà 93 anni.
Premessa. Chi lo ha conosciuto fra i banchi di scuola credo possa ricordarne l’autorevolezza e l’energia; la sua sola presenza in classe faceva sì che si potesse sentire volare una mosca, non aveva mai bisogno di alzare la voce. E se qualcuno solo si azzardava a disturbare la lezione lo freddava con l’arma dell’ironia. “Ascoltami bene, non è che io mi strugga dalla voglia di farti imparare l’inglese. Può darsi però che a qualche tuo compagno la cosa interessi. Fai così: prendi una biro e fai un punto proprio al centro del banco. Fatto? Bene, adesso fissalo per il resto della lezione!”
E poi il suo incedere: percorreva il corridoio scolastico con ampie falcate ritmate dal vigoroso ondeggiamento delle braccia; netto si percepiva il contrasto con le movenze pigre e indolenti tipiche, allora come oggi, di noi quasi ventenni.
Ci sono insegnanti che contribuiscono in maniera decisa alla formazione dei propri allievi, aiutandoli a prendere coscienza di sé, motivandoli ad alzare lo sguardo, fosse anche solo per vedere quel che c’è fuori dalla finestra dell’aula. Il professor Glauco Mancini ha rappresentato tutto questo per almeno tre generazioni di studenti.
Il “Prof” mi accoglie nella sua abitazione con una robusta stretta di mano; sono le dieci del mattino e mi aspetto di trovarlo fresco reduce dalla colazione.
“Alle sei ero già in campagna, dove vado ogni giorno, mattina e pomeriggio, per dar da mangiare ai miei cinque cani sottratti all’abbandono (ne ho avuti fino a diciannove… forse, un giorno, S.Antonio Abate mi farà sconto di qualche peccato), poi ho dovuto sbrigare diverse commissioni. Le dirò: ho dovuto correre parecchio, con la macchina, per poter rispettare il nostro appuntamento”.
Sono qui da quarantacinque secondi ed una cosa mi è già chiara: autorevolezza, energia ed ironia sono rimaste intatte. Ci sediamo per raccontarci le nostre vite, tutt’intorno libri aperti, quaderni e appunti sparsi; è evidente che lo studio abita ancora questa casa.
“Da un po’ di tempo sto cercando di imparare il tedesco, direi che sono a buon punto. E poi mi sto dando da fare col computer, ma in questo campo sono ancora un apprendista”.
Poi il discorso scivola sui tempi andati, prendendo lo spunto dalla splendida descrizione della sua giovinezza, che il Professore ha riportato sul profilo Facebook.
“Ho avuto un’infanzia felice, pur nella quasi miseria che allora era una condizione normale. Peraltro non c’era un parametro di vero benessere che ci facesse sentire la modestia della nostra esistenza per cui, in mancanza di un valido termine di paragone, il sospetto che esistesse un modo migliore di vivere non angustiava le nostre giornate”.
Erano gli anni in cui praticava l’Atletica leggera, i suoi occhi, azzurri e vivaci, si illuminano ora che mi racconta degli allenamenti, delle competizioni, delle vittorie. Disputava tutte le gare di corsa dai cento agli ottocento metri.
“I 200 erano la mia specialità, se potevo scegliere, partivo dalla prima corsia ed in genere all’approssimarsi della curva avevo già raggiunto gli avversari”.
Ma per lo sport, per lo studio, per la spensieratezza di quell’età non c’era più tempo, Glauco a 19 anni, come tantissimi altri ragazzi ricevette una chiamata solenne: quella alle armi.
“Il fascismo? Per noi giovani di allora era difficile avere una posizione critica; non potevamo fare confronti con altre forme di governo e altre idee politiche. Oggi posso dire che mi è costato cinque anni di guerra. Pericoli in continuazione. Ricordo il 16 luglio del ’43: col decimo bersaglieri, dovevamo prendere una posizione tenuta dagli americani, a Montaperto, nel comune di Agrigento. Loro sopra un cucuzzolo, noi sotto; il capitano chiamò noi tre sottotenenti… “Fate coraggio ai bersaglieri, ma credo che nessuno di noi arriverà vivo a stasera”. La guerra rappresenta un solco incolmabile e indimenticabile. A volte a scuola raccontavo le mie esperienze belliche; terminavo sempre dicendo… Non potevo morire, io dovevo vivere per la vostra dannazione!”
Subito dopo la guerra, Glauco si gettò a capofitto nello studio e in soli sedici mesi concluse il percorso quadriennale presso la prestigiosa Ca’ Foscari, laureandosi in Lingue Moderne.
“Tornato dall’Università, mia madre mi chiese se mi fossi laureato. “Sì” le risposi e la cosa finì lì, senza tante cerimonie, né regali”.
Glauco divenne ben presto il Prof. Mancini: la mattina insegnava a scuola, prima 7 anni di gavetta, quindi altri 32 da docente di ruolo, suddivisi fra Fano e Pesaro, poi, l’ultimo periodo, all’Istituto privato “La Nuova Scuola”. Il pomeriggio le lezioni continuavano, privatamente, con altri ragazzi, che talvolta arrivavano da fuori Pesaro, per colmare le loro lacune in inglese.
“Ho insegnato complessivamente per 52 anni ed ogni giorno sono andato a scuola col sorriso; ci sono stati anni in cui non ho fatto un’ora di assenza. Vede… molti docenti pensano all’insegnamento come ad un posto di lavoro. Sbagliano. Per poter insegnare bisogna avere la vocazione. Ho voluto molto bene ai miei alunni. Chissà, forse perché non ho avuto né moglie, né figli e, come in un imbuto, tutta la mia umanità si è riversata sugli studenti”.
La conversazione volge al termine, siamo ai saluti. Sono orgoglioso di aver ritrovato il mio professore e, chiedo venia al lettore per una piccola nota di carattere personale, come per chiudere il cerchio, sento il bisogno di tornare lì, alla prima ora del primo giorno di Scuola Superiore, quando vivaddio avevamo davvero davanti a noi un orizzonte ancora tutto da scrivere e cancellare.
“Professore, forse le sembrerà strano, ma io ricordo la prima frase che ci disse…”
Il Prof abbozza un sorriso, poi, prima ch’io possa continuare, parla al posto mio.
“Ragazzi, voi qui imparerete un po’ di italiano, un po’ di storia, un po’ di matematica, un po’ di inglese, ma la buona educazione…beh, quella la dovrete imparare tutta!”
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ci sono persone che la vita concede il privilegio di incontrare, prima si temono, poi si odiano ma quando la materia cerebrale comincia ad avere un suo perchè non puoi far altro che amare ed ammirare.
a proposito bell’articolo
Complimenti dalla Bolivia, Sono Marchigiano, Sansistese, la patria del fungo.
“Dagli Appennini alle Ande”
saluti
Massimo Giannini
Grazie Lamberto per questo bellissima rievocazione (non ‘ricordo’, per una persona sempre presente!).
Il rispetto – credo reciproco – ha fatto si che nonostante l’omonimia e 20 anni di lavoro in comune ci siamo trattati sempre con il “lei” ed in un mondo squacqueratamente confidenziale questo, a mio avviso, è stato un valore.