13 dicembre 2013
Pasqualon, il poeta degli umili
PESARO – Come ha ricordato Riccardo Paolo Uguccioni nella sua presentazione al libro “Poesie – Odoardo Giansanti” il poeta dialettale pesarese Pasqualon: “In sei distinti ricoveri, trascorrerà in manicomio più di diciotto anni della sua vita…”. Il poeta definì se stesso “cegh, zop, matt” (cieco, zoppo, matto). La cecità fu la causa di tutti i suoi malanni. Il Giansanti veniva ricoverato in quello che chiamava “El palazz d’inverne” (Il palazzo d’inverno) e che era il Manicomio Provinciale di Pesaro, detto anche Ospizio S. Benedetto. Escluso il primo, causato da una fase acuta della malattia, gli altri ricoveri furono poeticamente fertili. Veniva ricoverato per “malinconia semplice” o per “allucinasi alcolica”. Aveva una spiccata propensione a bere vino che il poeta considerava come trincea estrema “per dimenticare le preoccupazioni della vita”. Delle qualità del vino doveva essere un vero intenditore e ne riconosceva speciali effetti terapeutici. Nella seguente poesia intitolata “Nel dì di Santa Lucia” fa riferimento al “Cragnolo”, un vino rosso toscano, derivato dal Sangiovese. Durante la festa, si rivolge a Suor Teotima, che era la dispensiera del manicomio, nel modo seguente:
L’egregia suor Teotima
Oggi per noi s’appresta
Benché sia per il cragnolo
Soltanto mezza festa,
Ma più premurosissima
Per me ch’è festa tutta
Perciò non vorrei credere
Passarla a bocca asciutta;
Fra queste dense tenebre
Sarà lei tanto ingrata
Negar perfin la lampada
Che Noè per noi l’à creata?
Che fa vedere ai miopi,
Ai guerci, ai ciechi ancor?
A non tardar la supplico,
Sorella del Signor!
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