30 novembre 2013
ROMA – Capisco perfettamente che scrivere e parlare di un campione come Max Biaggi su un sito che si chiama www.pu24.it, dove PU sta per Pesaro-Urbino, patria, regione e residenza di Sua Maestà Valentino Rossi è un po’ come parlare del Diavolo durante un’omelia del Papa in San Pietro.
Però mi è impossibile, oggi, non celebrare, attraverso un libro scritto magistralmente a quattro mani da Max Biaggi (che per chi se lo fosse scordato, di titoli mondiali ne ha comunque vinti 6) e da quell’asso del giornalismo (non è piaggeria, se lo merita di cuore) che è Paolo Scalera questi due personaggi, profondamente romani, profondamente contro corrente, profondamente legati in modo viscerale al mondo del motociclismo.
Dunque ieri, alla libreria Feltrinelli di Roma, Max Biaggi ha presentato la sua biografia. Il titolo? “Oltre, nelle pieghe della mia vita”, dove al posto della R, c’è il suo numero di gara, un 3 stilizzato, che lo ha accompagnato per tutta la sua carriera di pilota.
La presentazione ha mostrato il lato più simpatico, scanzonato e profondo di Biaggi, dove si sono sprecati gli accenni ad episodi sia della sua vita da pilota che della sfera più privata. Rivelazioni, retroscena di una carriera costellata da momenti alti – come la conquista dei titoli mondiali – e più bassi, ma soprattutto dall’integrità, a dispetto anche di una parte dell’opinione pubblica.
Un libro che, per chi ama il motociclismo e certa letteratura, si “beve” tutto d’un fiato. Dapprima ecco la verità, tutta la verità, nuda e cruda, senza filtri: a partire dagli esordi di un ragazzo di 18 anni la cui unica passione era la sua fede calcistica per la Roma, folgorato simbolicamente su una via che non porta a Damasco ma più prosaicamente al circuito di Vallelunga.
E da qui l’ascesa, con la grande affermazione in sella all’Aprilia ufficiale, con quel color nero inconfondibile che gli valse il soprannome di “Corsaro”. Poi gli anni in Honda, il desiderio di rivalsa contro un’azienda che lo aveva messo a piedi e quella sfida dell’uomo oltre la moto, con il passaggio al team Kanemoto e l’affermazione iridata con il suo quarto titolo mondiale in 250cc.
Da qui all’esordio storico nella classe regina, quella della 500cc due tempi del 1998 con la Honda NSR privata a Suzuka. Un esordio vincente, con un dominio in terra nipponica, impresa riuscita soltanto a Jarno Saarinen nella storia del motociclismo mondiale.
Poi gli anni duri, che raccontano di un Max che ci tiene alla parola data, persona genuina e schietta, la sua rivalità con Valentino Rossi (quando i due scrissero le pagine più belle del motociclismo italiano) o i retroscena degli anni in Motogp, con la travagliata stagione 2005.
Ma nel suo libro Max va “oltre”: racconta l’uomo, la persona dietro il personaggio, la riservatezza e la sincerità, offrendo al contempo, davanti alla platea, opinioni senza filtro: “Valentino Rossi è un grande talento e questo non lo si può negare, così come molto forte era Mick Doohan, anche se ha avuto sempre materiale di prima scelta. Chi rappresenta il mondo delle derivate di serie? Haslam rappresenta bene quell’animo, peccato per i suoi tanti infortuni. Non avrei detto di Crutchlow, anche se ora sta facendo bene in Motogp. Bayliss? Un grande campione in Superbike però in Motogp non ha mostrato molto. Degli anni passati citerei Fogarty: aveva proprio l’occhio da matto, ha vinto sia con Ducati che con Honda”.
Il suo circuito preferito? “Sicuramente il Mugello. Avrei detto Suzuka, ma dopo l’incidente del 2003 che ha portato via Daijiro Kato, l’ho messa da parte. Intendiamoci, è una pista stupenda, ma forse un po’ troppo pericolosa, così come Imola”. Storie, aneddoti. Delle corse ma anche di vita. O se volete, di vita legata alle corse con i motori e le donne, tante e tutto belle. Naomi Campbell, Anna Falchi e la sua compagna di oggi, Eleonora Pedron. Tante rivelazioni in questo libro. Queste comunque sono solo piccole anticipazioni delle tantissime rivelazioni all’interno del libro dove Max si mette a nudo, e corre ancor di più.
Un grande concerto a quattro mani con quel saggio di Paolo Scalera, inviato del Corriere dello Sport e decano del motociclismo che immaginiamo prima dietro a un taccuino zeppo di frasi e citazioni, poi dietro al computer (meglio se di ultima generazione, conoscendo il suo amore per tutto ciò che è tecnologico e per le ultime novità del mercato) e quindi con la inseparabile macchina fotografica pronta a catturare immagini importanti.
E poi giù a scrivere, per rimettere in ordine quella mole di lavoro che un ciclone come Max deve avergli riversato e con il pilota a dire, fare, consigliare tagliare, ricucire qui e là, fino a quando l’opera non è andata in stampa. Sintetizzare quarantuno anni di vita, venti di carriera, non è stata un’impresa facile. Ma il risultato finale è degno di menzione.
Per parte mia, se mi è permesso aggiungere qualcosa di personale, a Max Biaggi debbo molto della mia carriera. Fu lui, con le sue vittorie agli esordi della carriera, che convinse il mio allora capo redattore dello Sport a La Stampa, il grande Gianni Romeo, che forse era nata una stella e che il mondo dei motori non era soltanto fatto di Formula1 ma anche di motociclette e che valeva la pena seguire il mondiale gara dopo gara in modo costante. Da allora è stato tutto un susseguirsi di vittorie, di trionfi, di grandi pagine di sport scritte da campioni. Quel mondo meraviglioso c’è ancora e finché esisteranno talenti come Biaggi, possiamo stare tutti tranquilli: il motociclismo non finirà mai.
Grazie del pezzo Enrico perchè mi dai la possibilità di raccontare una cosa molto sinpatica. Un giorno incontrai il mitico e indimenticabile Severino Rodolfi, l’uomo che inventò l’ Hospitality nel Mondiale Moto e sotto la tenda del quale spesso ci siamo spesso rifocillati nelle piste di tutta Europa, che mi disse alla sua maniera: Ecco, fu grazie a Severino che scoprì ed ebbi modo di scrivere prima di tutti che Biaggi avrebbe firmato per la Yamaha in MotoGp perchè a Iwata c’è la sede della casa dei tre diapason.