20 agosto 2013
Continua, nonostante il periodo di ferie, quello che si sta delineando come “magistero della relazione”, che Papa Francesco snocciola di volta in volta aggiungendo sempre maggiori particolari e declinazioni.
In questa puntata riprendo due estratti di Bergoglio, il primo dall’Angelus del 18 agosto, il secondo dall’incontro con i vescovi brasiliani tenutosi durante la Gmg di Rio. In entrambi risulta centrale il connubio tra Fede – Parola – Relazione, una sorta di nuova teologia trinitaria dove al centro c’è l’uomo con tutti i suoi limiti ma anche con tutte le potezialità.
Papa Francesco all’Angelus del 18 agosto: Gesù dice ai discepoli: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione» (Lc 12,51). Che cosa significa questo? Significa che la fede non è una cosa decorativa, ornamentale; vivere la fede non è decorare la vita con un po’ di religione, come se fosse una torta e la si decora con la panna. No, la fede non è questo. La fede comporta scegliere Dio come criterio-base della vita, e Dio non è vuoto, Dio non è neutro, Dio è sempre positivo, Dio è amore, e l’amore è positivo! Dopo che Gesù è venuto nel mondo non si può fare come se Dio non lo conoscessimo. Come se fosse una cosa astratta, vuota, di referenza puramente nominale; no, Dio ha un volto concreto, ha un nome: Dio è misericordia, Dio è fedeltà, è vita che si dona a tutti noi. Per questo Gesù dice: sono venuto a portare divisione; non che Gesù voglia dividere gli uomini tra loro, al contrario: Gesù è la nostra pace, è la nostra riconciliazione! Ma questa pace non è la pace dei sepolcri, non è neutralità, Gesù non porta neutralità, questa pace non è un compromesso a tutti i costi. Seguire Gesù comporta rinunciare al male, all’egoismo e scegliere il bene, la verità, la giustizia, anche quando ciò richiede sacrificio e rinuncia ai propri interessi. E questo sì, divide; lo sappiamo, divide anche i legami più stretti. Ma attenzione: non è Gesù che divide! Lui pone il criterio: vivere per se stessi, o vivere per Dio e per gli altri; farsi servire, o servire; obbedire al proprio io, o obbedire a Dio. Ecco in che senso Gesù è «segno di contraddizione» (Lc 2,34).
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Colui che conduce la pastorale, la Missione Continentale (sia programmatica che paradigmatica), è il Vescovo. Il Vescovo deve condurre, che non è la stessa cosa che spadroneggiare. Oltre a sottolineare le grandi figure dell’episcopato latinoamericano che tutti conosciamo, desidero aggiungere qui alcune linee sul profilo del Vescovo che ho già detto ai Nunzi nella riunione che abbiamo avuto a Roma. I Vescovi devono essere Pastori, vicini alla gente, padri e fratelli, con molta mansuetudine; pazienti e misericordiosi. Uomini che amano la povertà, tanto la povertà interiore come libertà davanti al Signore, quanto la povertà esteriore come semplicità e austerità di vita. Uomini che non abbiano “psicologia da príncipi”. Uomini che non siano ambiziosi e che siano sposi di una Chiesa senza stare in attesa di un’altra. Uomini capaci di vegliare sul gregge che è stato loro affidato e di avere cura di tutto ciò che lo tiene unito: vigilare sul loro popolo con attenzione sugli eventuali pericoli che lo minacciano ma soprattutto per accrescere la speranza: che abbiano sole e luce nei cuori. Uomini capaci di sostenere con amore e pazienza i passi di Dio nel suo popolo. E il posto del Vescovo per stare col suo popolo è triplice: o davanti per indicare il cammino, o nel mezzo per mantenerlo unito e neutralizzare gli sbandamenti, o dietro per evitare che nessuno rimanga indietro, ma anche, e fondamentalmente, perché il gregge stesso ha il proprio fiuto per trovare nuove strade.
Per approfondire: www.facebook.com/parlasignorepesaro e www.vatican.va
Pierpaolo Bellucci – dittapibe@gmail.com
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