Dopo le emozioni di Fatima, Raffaele Pierotti ritrova Oana

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6 agosto 2013

PESARO – Raffaele Pierotti, partito da Cagli lo scorso 6 aprile, è arrivato a Fatima – dopo essere passato per Lourdes e Santiago de Compostela – il 3 agosto, racconta le sue emozioni, i suoi sentimenti, i suoi pensieri… E descrive l’incontro con Oana, che aveva lasciato – sfinita – in un bel box.

Raffaele e Oana con l'amico spagnolo reduce dal viaggio a piedi a Gerusalemme

Raffaele e Oana con l’amico spagnolo reduce dal viaggio a piedi a Gerusalemme

Il sole che sta scendendo verso l’Oceano rende la serata gradevole, la sua luce morbida invita a riunirsi, a passare le ultime ore a raccontare e a godere della compagnia. La stessa luce spinge le ombre ad allungarsi verso est e a ruotare ad ogni minuto fino a quando dovranno svanire.

Nel piazzale degli autobus c’è questa aria estiva che a poco poco diventa malinconica e triste. Chi è sceso è sparito, chi sta partendo è accalcato in fronte alla corriera. I piedi mi fanno male, le caviglie pesanti non potrebbero fare un altro passo, mi fa male la testa. Ma salutare Angela non è cosa da niente. Quella luce fa scintillare i capelli neri e mi fa ricordare la giornata trascorsa a Fatima.

Su e giù, a terminare un capitolo che sarà solo un inizio, a dimenticare le vicende del viaggio per parlare alla stessa Signora che si è mostrata a Francesco, Lucia e Giacinta, la stessa Signora che ha mosso i passi di un grande Papa, Giovanni Paolo II, e che lo ha posto al centro di un miracolo, quanto mai unico, in piazza S. Pietro.

Qui si è fatta la storia dell’ultimo secolo, una storia silenziosa, fatta per i piccoli e i poveri, per gli umili e i poveri in spirito, un segno dato non ai sapienti ma alla gente semplice. Ed ecco dove sta la grandezza. Non esiste religione degli uomini che si comporterebbe allo stesso modo. Anche per me, venire qui è una specie di storia, non importante per l’umanità, direi quasi banale e sciocca, ma  è pur sempre un passo avanti, rendere una testimonianza in più a un Dio che si manifesta attraverso le opere.

La venerazione per la Vergine e la spettacolare funzione di ieri notte sono da brivido. L’interazione è totale. Ma io sono rimasto ad ascoltare, immobilizzato in un ardore interno, la Verità che incomincia a penetrare in profondità. Quello che vedo mi rapisce il cuore e lo rende più grande, la mente si libera improvvisamente e assorbe i grandi inni che si elevano dalla Cova da Iria fino al cielo notturno infinito, un cielo che espande l’Osanna in un tripudio di cori che si trasformano in un’immenso saluto alla Madre di Gesù. E questo che ho veduto non è fanatismo. Nossignori. E’ la Gloria al Signore Dio che diviene segno di suprema gratitudine attraverso il Suo popolo e in questa notte non c’è nessuno che non lo sia. Questa è la Sua gente! Spero di esserlo anch’io.

Un bel paesaggio scivola via veloce dalla ampia finestra dell’autobus, assieme a una moltitudine di pensieri. Non riesco a concentrarmi su nessuno di essi poiché sono veramente sovrapposti. Dalla salita al Monte Gottero alla cena con Marafini e la sua fidanzata a Pieve Santo Stefano; dalle sensazioni della sera prima a Fatima passo a ricordare i volti e i nomi di chi mi ha chiesto un pensiero; penso agli Appennini e all’ospitalità di Philippe Dalat… Ed è tutto un susseguirsi di una realtà vissuta che ora non riesco a tenere nelle mani ma mi striscia sottopelle rendendomi sensibile.

Mi chiedo se sono io quello che ha compiuto quattromila chilometri. Mi sto sdoppiando:  è questo che succede dopo tante fatiche? E’ questo che succede nel cambiare personalità? Ciò che cercavo l’ho trovato. Lo porterò a casa con me o resterà nascosto? Volevo un cambiamento e so di averlo ottenuto.

Sto dimenticando il viaggio, non è più importante perché è stato un veicolo, nello stesso modo in cui lo è stato il Camino per Santiago, una via attrezzata per giungere più comodamente a Fatima. Non mi son fatto coinvolgere dal culto del Camino. Non ho messo pietre su cumuli di pietre, non ho messo i miei scarponi o una maglietta o una foto o i miei calzini su un cippo qualunque. Mia madre non ha fatto figli senza cervello, lei stessa donna che ha saputo trasformarsi.

Vedere il Portogallo mentre qualcuno guida per te è uno spettacolo. Rivedo Coimbra, Agueda, Albergaria, Madeira, Grijò… Sono stanco di viaggiare, proprio stanco. Ma fisicamente sono nel pieno delle forze. Voglio rivedere Oana al più presto. Ed ecco Porto, il bel fiume Douro, il Monastero in alto, il ponte Luis I. Che effetto che fa! Mi sento ormai parte del Portogallo a rivedere dove son passato. Non ho ancora capito bene questo popolo, ma ora che scrivo mi rendo conto che ha l’animo buono. Da Porto devo prendere il taxi. José Romiro parte a tutta velocità e si dirige verso l’interno seguendo la riva destra del Douro. Son costretto a dirgli che mi sta facendo fare una strada troppo lunga. Mi assicura di no. Sarà! Andiamo più verso l’interno parlando di rally. Romiro è simpatico e gli piace guidare ma io gli chiedo se ci son due Rio Mau. E’ convinto di no. Chi pensate che abbia ragione? Dovete vedere nella sua faccia tonda, buffa e rugosa che disegno astratto è venuto fuori quando si accorge che ce ne sono due! Una e’ quasi attaccata al mare, pardon, oceano, e l’altra si specchia sul Douro. E allora ancora rally, quelle curve e controcurve che piacciono anche a me. Peccato che non sopporto questa perdita di tempo e il nervoso ormai mi prude nelle mani e nelle piante dei piedi. Romiro se ne rende conto e fila via preoccupato. 

Nell’autostrada sbaglia ancora due volte… Che pazienza infinita mi tocca avere! Trovato il Centro dopo un paio di telefonate ci ridiamo sopra tutti e due insieme a Duarte. Romiro mi abbraccia con una gentilezza veritiera e faccio fatica ad abbracciarlo tutto.

Oana mi saluta mormorando un nitrito. Quando mi volto per uscire dalla scuderia la sua voce da cavallo si fa intensa. Mi richiama per ben tre volte e devo tornare indietro e abbracciarla. Chi pensa che ho dovuto asciugarmi qualche lacrima, alzi la mano. Non ve lo dirò.

 

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