5 agosto 2013
Papa Francesco non ha perso tempo e alla prima occasione pubblica – l’Angelus di domenica 4 agosto – ha ripreso i temi della Settimana della Gioventù di Rio scandendoli al ritmo della Parola ed entrando nella vita quotidiana dei giovani, destinatari delle sue parole perché protagonisti della società del futuro. Riprendendo la lettura tratta dal libro del Qoèlet e il Vangelo del ricco epulone, ha messo in guardia i giovani del culto della vanità propinato dall’attuale società del benessere, peraltro minata da una crisi economica che di mese in mese ne trasforma i contorni, e che ci porterà ad un mondo diverso da quello che abbiamo conosciuto.
E’ l’estrema sintesi di quanto detto – con parole e gesti – a Rio de Janeiro: incontrando prima i detenuti, i malati, i tossicodipendenti e poi le autorità di governo sia civile che ecclesiale ha fissato la scala di valori sui quali le giovani generazioni devono confrontarsi: prima gli ultimi e i poveri, poi gli altri. Perché come scrisse Francesco in seguito alla sua conversione, è nel lebbroso che si scopre la dolcezza dell’amore di Dio, tanto che quello che la società rifugge diventa dolcezza di anima e di corpo per chi ha incontrato Dio.
Papa Francesco non si è limitato a gesti e parole sferzanti, ma ha dato un mandato preciso quando sulla spiaggia di Copacabana, prima nella veglia e poi nella messa conclusiva, ha invitato i giovani a tornare nelle proprie città facendo chiasso, ma un chiasso particolare dato dalla testimonianza della Parola di Dio nella società in cui si vive, quindi nel lavoro e in politica. Non a caso, quando pochi giorni prima di partire per il Brasile aveva incontrato i confratelli gesuiti, alla domanda “Come dobbiamo indirizzare l’impegno dei laici” rispose senza titubanze invitando a “fare politica – lasciando la cura degli altari ai sacerdoti – facendosi missionari nella propria comunità civile”.
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