1 aprile 2013
PESARO – “Ero in tribuna vicino agli amici di sempre, con in tasca un’enorme bandiera tricolore. La tirai fuori soltanto quando mancavano pochi secondi alla sirena finale: contro la Milano di allora non si poteva certo cantar vittoria prima del tempo. Come disse Bianchini, la provincia si era ribellata alla metropoli. E quando Magnifico fece segno a D’Antoni, a terra ed ormai sconfitto, di stare giù, i magoni di tanti anni si sciolsero in un attimo. La rivalità con Milano era veramente accesa; per i vari Meneghin, D’Antoni, Premier c’era rispetto ma, diciamocelo, …non li potevamo vedere neanche in pittura!”
Carlo Campanari, professionista pesarese, a lungo presidente del Panathlon club (oggi Past President), è un tifoso storico della Vuelle; il suo amore per la pallacanestro cittadina nacque insieme ad essa.
“Mi chiedete perché noi ragazzi della anni trenta ci siamo appassionati alla pallacanestro: porca miseria …dopo la guerra non c’era niente! Per costruire il campo in fondo a Viale Trento ci bastarono due pali ed un cerchio. Ricordo come fosse oggi la prima partita che vidi alla palestra Carducci; giocavano Fava, Ragnini, Scrima…”
Campanari snocciola aneddoti, giocatori e partite che si collegano a sessant’anni e passa di palla al cesto. Inutile ricordargli che sono lì per parlare del nostro primo tricolore; ed ha ragione lui perché lo scudetto corre su di un testimone che parte da Agide Fava ed arriva a Walter Magnifico, transitando via via per mani gloriose.
Relativamente alla pallacanestro di oggi, Campanari assume un atteggiamento molto critico; ed è più che comprensibile dato che ha vissuto da sportivo e tifoso i tempi eroici della Victoria Libertas.
“Rimpiango l’hangar di Viale dei Partigiani, dove le partite avevano un sapore diverso; l’Adriatic Arena è fra le strutture più belle d’Europa, ma è la classica cattedrale nel deserto. Inoltre ai giocatori che oggi calcano il parquet manca spesso un requisito fondamentale: la grinta. Anzi, come diciamo da queste parti, la tigna, che una volta era il marchio di fabbrica dei cestisti che vestivano la casacca pesarese. Adesso vedo certi giocatori che magari segnano trenta punti ma hanno sempre la stessa faccia, sia che vincano, sia che perdano. Infine un appunto bonario ai tifosi più giovani: smettiamola di criticare la squadra al primo errore. Ricordo una partita a Bologna, al seguito della Vuelle: stavamo perdendo di 35 punti a tre minuti dalla fine, ma il nostro tifo era ancora incessante.”
Alza le mani, come a voler chiedere scusa e allontanare i ricordi.
“Sono discorsi che può fare solo chi, come me, ha molti, troppi anni sulle spalle”.
Eppure ogni quindici giorni, Carlo Campanari è lì, con l’abbonamento in tasca ed il biancorosso nel cuore, a tifare Scavolini.
“Non c’è niente da fare. Ancora mi diverto! Spesso esco dal palazzetto arrabbiato, ma mai avvilito. Quando viene reso noto il calendario delle partite casalinghe del campionato, lo mostro subito a mia moglie affinché sappia che quelle domeniche sarò impegnato! ”
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