Pasqualon: la carrozza automobile

di 

15 agosto 2012

di Stefano Giampaoli*

Durante il 1895 i pesaresi vennero scioccati da un “rumorosissimo triciclo a motore” che scorazzava fra le vie contenute dalle “alte e solide” mura roveresche. Grazie al concittadino Oreste Ruggeri, industriale farmaceutico, poterono osservare per la prima volta quello “strano veicolo” che stava cambiando un’epoca. Il Giansanti, sensibile osservatore dell’evoluzione economica e sociale, scrive “La carrozza automobile”. “Che spetàcol giorni fa Ch’è passed maché in cità, Na caroza giva via Sola sola daparlia E nisciun la stragineva, C’era un om che la guidava” (Che spettacolo giorni fa Che è passato qui in città, Una carrozza andava via Sola sola da sola E nessuno la tirava, C’era un uomo che la guidava).

La famiglia di Oreste Ruggeri sulla nuova automobile (cartolina degli inizi del Novecento)

La famiglia di Oreste Ruggeri sulla nuova automobile (cartolina degli inizi del Novecento)

Il poeta ammira l’impegno e il lavoro che hanno reso possibile la costruzione di mezzi meccanici così efficienti ma è preoccupato. Se tutti i ricchi signori si innamorassero di questi strumenti della tecnica, i poveri vetturini cosa si metterebbero a fare? “S’ gissa in opra acsé un tramwai Adio frusta adio cavai” (Se andasse in funzione così un tram, Addio frusta addio cavalli). Oltre ai vetturini, anche il lavoro dei veterinari sarebbe messo a rischio. Così pure quello dei sellai, dei fabbri, dei carrozzieri, dei maniscalchi e degli spazzini (e si perché i cavalli la facevano per strada …). “Fintant ch’ c’era l’ biciclett” (Fino a quando c’erano le biciclette) era un danno solo per pochi perché in tanti non le adoperavano. “Specialment po’ sti panzon, Sti vecchiott sti pretachion Ch’i à do otre quintei d’ panzetta Quei i ‘n giva in bicicletta” (Specialmente poi questi panzoni, Questi vecchiotti questi pretoni Che hanno due o tre quintali di pancetta Quelli non andavano in bicicletta). Invece, in un carrozzone così è sicuro che salirebbero. Quindi accidenti alle biciclette e alle carrozze senza cavalli! Pasqualon, sempre attento a non indispettire alcuna classe sociale, questa volta ha un sussulto di ribellione. Auspica che: “Ma sti sgnor, ma sti padron Chi vo’ to’ sti carozzon Sa cla storia dla benzena” (A questi signori, a questi padroni Che vogliono prendere questi carrozzoni Con quella storia della benzina) potrebbe esplodere il serbatoio sulle loro schiene, altroché il rischio presentato dalle biciclette! Poi rincara la dose per questi ricchi che si fanno trasportare dalla carrozza automobile. “E sperem da vedle prest Saltè via cle beli test” (E speriamo di vederle presto Saltare via quelle belle teste). Attenti ricchi, verrete presi fra due fuochi. Da una parte lo scoppio del serbatoio di benzina, e dall’altra il ribaltamento dell’automobile da parte del popolo che è stanco di vivere in povertà.

*Con il titolo “Pesaro, la nostra storia attraverso Pasqualon” verrà pubblicato un libro che sarà un compendio narrativo delle opere di Odoardo Giansanti. Le radici della Pesaro moderna che conosciamo affondano negli anni che stanno tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Il poeta dialettale Odoardo Giansanti (Pesaro 1852 – 1932) ne è stato ironico cantore ma anche fedele cronista.

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