Pasqualon: La caccia ai poveri

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31 luglio 2012

di Stefano Giampaoli*

Chi pensasse che l’adulterazione alimentare sia un fenomeno solo dei nostri tempi, legga “La caccia ai poveri” di Pasqualon. Il poeta apprende la notizia che è stato commesso un torto ai danni di “noiatra povra gent” (di noialtri povera gente). Non solo i prezzi dei prodotti di prima necessità sono alti ma i prodotti stessi vengono sofisticati. La provvidenza dei campi coltivati “Che a guardei dic ch’ l’è un piacer” (che a guardarli dicono sia un piacere) è rovinata dall’egoismo dei commercianti che, per un ingiustificato tornaconto economico, modificano la composizione degli alimenti e ne alzano i prezzi.

L'organetto di Pasqualon

L'organetto di Pasqualon

Per descrivere questa situazione Odoardo Giansanti dipinge questo quadro: “Guardè un fiol ‘n si bracc dla medre … Quant el ved un giugarlen” (Guardate un figlio sulle braccia della madre … Quando vede un giocattolo). Batte i piedini, storce la bocchina, allunga le braccia verso il giocattolo che è nelle mani di un altro bambino perché vorrebbe giocare anche lui. Poco gli giova fare“el bregnolen” (il grignolino, il broncio), le sue mani rimarranno sempre senza niente. La stessa cosa succede alla povera gente “Ch’ ved la roba ma sti camp” (che vede la roba nei campi) poi subito immagazzinata “in t’un lamp” (in un lampo). Mentre si fanno sempre più sottili le loro budella cresce sempre più il prezzo del grano. A “Ventisei lir e cinquanta Al quintel va la farena” (a ventisei lire e cinquanta Al quintale va la farina), addirittura a trent’otto lire la “numbre zero”. “E po’ almanch fussa tutt gren! (E poi almeno fosse tutto grano!). Uno aveva sussurrato all’orecchio del nostro Pasqualon che, insieme alle farine di grano, venivano mescolati altri cereali. Così, in questo secolo “illuminato”, un povero diavolo se vuole vivere si deve abituare a stare con gli occhi chiusi. “L’à da viva cum un cegh Senza più tant oservè Cosa el sia gid a comprè (Deve vivere come un ceco Senza più tanto osservare Cosa è andato a comprare). I prodotti genuini della terra, come li ha fatti la natura, non si vedranno più di sicuro! Solo il contadino potrà essere certo di mangiare tagliolini fatti con farina di grano, dei veri polli ruspanti o bere del vino realizzato con acini di uva pigiati. Quello che amareggiava di più Odoardo Giansanti era il fatto che i produttori disonesti, invece di essere puniti, venivano premiati. In tutti i negozi di città, per esempio nelle panetterie e nelle salumerie, c’erano pubblicità (“decorazion”) per rappresentare il lavoro fatto sui prodotti (che invece sono stati sofisticati). “Che el purett s’ l’avessa vist A schiafei cla purcaria E’ sigur ch’ en magnaria” (Che il povero se avesse visto A mettergli quella porcheria E’ sicuro che non mangerebbe).

*Con il titolo “Pesaro, la nostra storia attraverso Pasqualon” verrà pubblicato un libro che sarà un compendio narrativo delle opere di Odoardo Giansanti. Le radici della Pesaro moderna che conosciamo affondano negli anni che stanno tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Il poeta dialettale Odoardo Giansanti (Pesaro 1852 – 1932) ne è stato ironico cantore ma anche fedele cronista.

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