Guei ma chi tocca!

di 

10 luglio 2012

a cura di Stefano Giampaoli 

 

 

Pasqualon racconta, sempre con l’intento di far ridere, di un fatto spiacevole che gli è accaduto “Propri vers la Porta d’ Fen” (Proprio verso la Porta Fano). A cavallo fra la fine dell’ottocento ed i primi del novecento non esisteva la chirurgia estetica. Per rendere più belle le parti del loro corpo, alcune donne ricorrevano ad altri espedienti. Così capitava, per esempio, che qualche giovinetta “Ch’ la javes sol pel e os” (Che avesse solo pelle e ossa) potesse rimediare in questo modo: “Sa un po’ d’ strac la fa el cul gros E un po’ d’ stoppa da imbutì Do’ ch’ la jà da cumparì” (Con un po’ di stracci si fa il culo grosso E con un po’ di stoppa da imbottire Dove desidera comparire). Il nostro Odoardo mette in versi: “A inciemp in t’una vesta, La m’ fa un sfrigh machè in t’ na men Ch’ la m’à propri ferid ben” (Ho inciampato in una veste Che mi ha fatto un piccolo taglio su una mano Ferendomi proprio bene).

Porta Fano

Il Poeta guarda meglio questa bella signorina mora e a quel suo “sopracul didria” (sopraculo dietro) da dove usciva un “sprangon” ben appuntito che chissà come fosse uscito! “Mè po’ a jò tasted sa l’ men Par santì propri benben” (Io poi ho tastato con le mani Per sentire proprio bene). C’era della gente ma nessuno si accorse di nulla e “Manca lia la capiva Parchè el cul mè en el sentiva” (Nemmeno lei capiva Perché il culo io non lo sentivo). Ecco perché il titolo della poesia: “Guei ma chi tocca!”. Il messaggio e lo stato d’animo che Pasqualon vuole trasmetterci è: C’è molta apparenza nel modo di essere delle donne!

Dice: “Mo da quant che mè a so ned Dle gran mod à costumed” (Ma da quando sono nato Delle grandi mode sono diventate costume). I poveri innamorati rimangono contenti e presi in giro (I arman cuntent e minchiuned). Passa quindi ad esaminare le pettinature delle donne. La “fratena” che è fatta per chi non ha faccia di comparire. Ai tempi di suo zio Ludovico usava girare i capelli intorno a dei corni, con una retina sulla nuca riempita di crine; tutte si pettinavano così. Poi venne il tempo di grossi cigni, uno davanti ed uno dietro, che sembrava avessero avuto due teste. La grandezza dei cigni era tale che, per pettinare queste signore, occorreva fare un’armatura e sembravano palazzi di due o tre piani. Gli indumenti, poi, con gonne “Sa chi cerchj cum i palon Ch’ steva sotta ot nov person?” (Con quei cerchi come palloni Che stavano sotto otto nove persone?). Dopo è venuta un’altra moda, di sottane tutte con la coda. Poi usarono i fiocchi dietro che sembravano insegne d’osteria. Ora ci sono le gonne talmente tirate che, se ben osservate, permettono passi solo di un palmo. Le madri di queste signorine sono compiacenti; è l’eterno gioco della moda e della seduzione.

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