La nuova sirena

di 

9 maggio 2012

a cura di Stefano Giampaoli

Il Poeta, per risollevare il morale dei propri concittadini che all’alba del 17 giugno 1915 erano stati svegliati dalle cannonate, scrive “La nuova sirena”. Nel mese precedente, il 24 maggio, era stata dichiarata la guerra all’Austria per liberare Trento e Trieste. Quella mattina del 17 giugno, tre navi dell’Imperial Regia Marina austro – ungarica, postesi di fronte al porto della nostra città, iniziano il bombardamento e colpiscono l’hangar degli idrovolanti e il faro del porto. Il Comune aveva posto, per dare l’allarme in caso di bombardamenti, una sirena elettrica sulla cupola di S. Ubaldo.

La pescheria di Pesaro, sorta nel 1883, in via Cavour

Il guardiano, però, non doveva esser stato molto attento: “Parchè sùbit dop fischied S’è sentid le canoned: Anzi prema, m’à pars ben” (Perché subito dopo i fischi, si sono sentite le cannonate, anzi prima mi è parso bene). Odoardo Giansanti ironizza sul cambiamento dei tempi; anticamente la sirena stava in mare e la si immaginava bella, giovane, fresca, ardita ed in basso aveva il corpo di pesce. Ora, da essere vivente, si è trasformata in metallo ed è piantata, sempre esposta al freddo e al caldo “In tla testa d’Sant’Ubald”. Da lì ha potuto avvertire, dell’imminente pericolo, i pesaresi che hanno reagito così: “Da la chesa ognun scapeva L’un con l’atre i s’inciampeva Fugend tutti for de porta” (Dalla casa ognuno scappava, andando ad inciampare l’uno con l’altro, fuggendo fuori dalla porta). In pieno oscuramento della città per disposizioni militari e alle prime luci dell’alba, fuggono “Chi sa una scarpa par sorta Chi in camìgia chi in mutand Chi in ciavatt, om, don pcen, grand”. Dalla paura qualcuno se la fa addosso: “Pegg è sted chel por Pagnon Ch’ l’à sporched tutt i calzon” (Peggio è stato per quel povero “Pagnon” che ha sporcato tutti i pantaloni).

In Via Mosca, poi, un ammalato a letto da 90 giorni, nel sentire quelle cannonate, si è alzato dal letto in un lampo e ha sceso le scali da solo. La paura non escluse nessuno, neanche la grande aristocrazia; nel sentire sparare il cannone, alcune ricche signorine, spettinate, senza cipria, senza cappellino e senza borsetta “Le ‘n badeva a fè toletta” (Non si impegnavano ad accudirsi). Pasqualon, per eventuali successivi bombardamenti, suggerisce un rimedio. Invece di fuggire per le strade, quando si risentirà a fischiare la sirena, ognuno dovrà raggiungere le cantine, sotto terra, dove c’è il buon vino. Bevendolo, di tanto in tanto, si potrà meglio sfidare la morte. “Donca, atenti a la sirena”.

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