di Redazione
3 maggio 2012
a cura di Stefano Giampaoli
Una delle più belle poesie di Pasqualon è il “Dialogo fra il vino e l’acqua”. In essa, il pensiero filosofico del poeta raggiunge il più alto livello. Lo scontro dialettico fra questi due importantissimi liquidi avviene in una cantina. Il vino contenuto in una botte, da poco purificato e travasato, superbo e pieno di se andava dicendo: “Necesseri come me In tel mond chi mèi sarà?” (Necessario come me, nel mondo, chi mai sarà?). Dai tempi di Noè, in città ed in campagna, nelle feste, nelle riunioni, cosa farebbero senza di me che tolgo la malinconia, porto allegria e do forza, vigore alla povera gente? All’ascolto di queste vanità, l’acqua che gli era di fronte dentro un piccolo orcio, si mise in una grande risata e gli rispose così: “Tè t’ si antich più che ‘n è me Ch’a so’ neda insiem sal mond?” (Tu sei più antico di me Che sono nata insieme al mondo?). Poi continua ad approfondire, andando ancora più in la, sostenendo che senza la sua esistenza non ci sarebbe nessuno sulla terra.
Chi potrebbe vivere solo col vino? E, con aria materna: “Pensa fiol, riflett piutost, Fa silenzi e sta al tu post!” (Pensa figliolo, rifletti piuttosto, Fa silenzio e sta al tuo posto!). Il vino, a sua volta, diventando acido: “Oh, chera la mi sbiavida, Portafiaca garantida, Bàia pur tè quant te pèr, Boll pur sempre in tel calder” (Oh cara la mia sbiadita, abbaia pure quanto ti pare, bolli pur sempre in un caldaio). Poi, passando alle offese, le dice di non essere mai capace di portare il buon umore, sciapa, senza alcun sapore. Se, per esempio, un poveretto con moglie e figli, disperato e pieno di debiti, volesse mangiare dei fagioli ed un pezzo di pane, cosa berrebbe insieme? Solo il vino, che gira libero per il mondo, scaccia i pensieri e fa venire il buon umore mentre l’acqua, con il suo bel colore, finisce nella sciacquatura (“in ti siaquador”). L’acqua, più antica e saggia, non demorde: “Quant a sim ‘n ti gran calor Dmanda ma sti viagiador Ch’i caminna par la streda Se in chel mentre a so brameda.” (Quando siamo nel gran caldo, domanda ai viaggiatori che camminano per la strada, se in quel momento sono bramata). Saggia e conciliante l’acqua conclude: “Sent fiol mia … ragionand propi ’n sel seri A sim tutti necesseri”. Odoardo Giansanti ne ricava una morale sociale. Senza fare chiasso, ci vorrebbe il rispetto fra le due classi (padroni da una parte ed operai e contadini dall’altra). Tornerebbe la concordia a governare fra “gross e pcen”, come qui fra l’acqua e il vino.
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