Quando il mercato del lavoro resta al palo (della luce)

di 

30 aprile 2012

FANO – Compro auto e scooter. Acquisto macchine di ogni tipo, anche incidentate o a km zero. Pago in contanti, pagamento immediato, ritiro a domicilio. Stiratrice professionale si offre per servizi a ore. Azienda in forte espansione, nuova sede, seleziona personale full-time e part-time. Contratti a norma di legge, fisso mensile garantito. Sconto del 20% per bomboniere e accessori. Vi aspettiamo.

Il mercato del lavoro? Sta al palo. In ogni senso. Il nuovo ufficio di collocamento?  Il palo della luce di una via centrale di Fano, rivestito di affaroni, occasioni, promozioni ma soprattutto illusioni. E’ stato completamente avvolto (vedi foto) da annunci con frange di numeri da staccare e, possibilmente, contattare. Ecco la nuova frontiera dell’offro-cerco lavoro. In tempi di crisi, ogni palo è buono per ogni bisogno: “sponsorizzare” la propria attività, proporre “affarissimi”, reclamizzare prezzi scontati. Che poi si tratti in buona sostanza di affari finti, lavori finti, opportunità tarocche e supersconti ormai fissi è un altro discorso. Del resto – diceva sconsolato, in piazza, l’altro giorno, un pensionato – quando anche il noto imprenditore amico di, presidente della banca di, quello che con il bastone ti disegna il cerchio sulla sabbia che sta a significare che, propone in tv promozioni in stile cellulare ricaricabile o piramide multilevel (“Portami un tuo amico, ti faccio guadagnare di più”) capisci a che punto siamo arrivati: chi comanda, chi detiene il potere, siano politici o lobby, si ostina a non capire che i soldi e la pazienza sono finiti. Hai voglia a inventarti nuove forme di lavoro, nuove promozioni, nuove illusioni nell’Italia del Gattopardo, dove tutto cambia per non cambiare mai.

“Portami un amico e ti faccio guadagnare di più”. Ma te lo dice un uomo che, per intenderci, è stimato al settimo posto tra gli uomini più ricchi d’Italia. Ormai, dalla mortadella alle banche, viviamo in un paese dove sconti e promozioni sono perenni. Dove si gioca, si gratta, si lima sui centesimi dei molti per non toccare i soldi veri di pochi. Dove le battaglie sindacali, quando vanno a segno, regalano aumenti infinitesimali in busta paga mentre il costo della vita ti mangia tutto in una settimana.

Abbassare semplicemente i prezzi? Macchè. Meglio alzarli e poi scontarli. Alzarli e offrire la finta promozione speciale parallela. 

Arriva il primo Maggio, festa dei lavoratori e l’Italia si scopre sempre più schizzofrenica. Con un “piccolo” dettaglio annesso: per molti italiani i soldi sono finiti, non bastano più. E vedere il tuo nuovo vicino di casa, che conosci a malapena, chiederti 10 euro per mangiare è qualcosa che fa male. Anche perché poi scopri che era arrivato a te dopo aver chiesto soldi a tutta la via. Non sapeva più come arrivare alla fine del mese. Ma era lo scorso 14 aprile.

Per tanti, sempre di più, non c’è più il lavoro. Ma non dal 2012 o dal 2011. La generazione dei trentenni di oggi, la mia generazione, è da 9 anni ostaggio di contratti distorti, appesi a metaforici pali. Contratti quasi esclusivamente a termine, posizioni ricattabili dallo scagnozzo del capo di turno, leggeri per le tasche dei datori di lavoro ma anche per lavoratori alla ricerca di un miraggio di stabilità.  Hai voglia, allora, a tenere i prezzi alti e poi fare promozioni con l’illusione dell’affarone. Hai voglia a scrivere nell’annuncio “contratto a norma di legge”. Quale legge? Quale dei 34 contratti di lavoro previsti dal decreto legislativo del 2003? Il sacrificio dei giovani, ormai ex giovani, dura da 9 anni. Noi, figli degli anni ’70 e ’80, siamo invecchiati con chi, nel nome della flessibilità, sminuzzava un solo posto di lavoro sicuro in tre posti precari. 

Intanto, ripetiamo, il costo della vita non conosce limite né freni. Facciamo parte dell’Europa ma stipendi dei nostri politici e prezzi dei nostri carburanti – solo per citare i costi più chiacchierati – sono quanto di più distante dalla realtà che vive ogni altro Stato.

Piccoli casi nostrani? Anche il gelato, a Fano, ha subito un balzello emblematico. Il cono più piccolo? Due euro. Non più 1.50 (come a Cattolica, per esempio). Dettagli, certo. Ma perché aumentare da un’estate all’altra lo stesso gelato di 50 centesimi (1000 delle vecchie lire)? Ce lo  faceva notare, ieri, un attento lettore.

Ancora piccoli casi. Molti dei nostri grandi magazzini resteranno aperti anche il primo di maggio. E pazienza se le famiglie hanno smesso di comprare molti beni di prima necessità (l’Istat segnala da tre anni una caduta verticale delle vendite al dettaglio, arrivata il mese scorso al -11% rispetto a 5 anni fa) e molti lavoratori, quelli che potevano scegliere, hanno ottenuto di non lavorare per stare in famiglia. Per stare con gli amici. Per fare semplicemente altro e mettere da parte, per un giorno, la competizione e ritmi diabolici imposti per preservare il posto di lavoro.

Cercasi normalità, cercasi ritmi umani, cercasi uscita dall’incubo.

Invece no. Tagli annunciati e sempre rinviati, poi ridotti con forbici spuntate a percentuali insignificanti (vedi sempre gli stipendi dei politici o i rimborsi elettorali). Invece no: i giornali, ogni giorno, snocciolano dati che stridono. Da una parte stipendi da tronista più che da politico, che non accennano a diminuire, e dall’altra pensioni di povertà, anche da 300 euro al mese, e alcune aziende che per anni hanno campato con “contratti” di stagisti (spesso gratis) camuffati a tempo pieno. Laureati a casa, “figli di” sulle poltrone che contano. E la frustrazione e la sensibilità dei cittadini comuni aumenta. Così capita che qualcuno esponga fuori dal proprio locale un cartello che inviti i politici a girare alla larga. Il prossimo passo, se non si decide a cambiare veramente, potrebbe anche essere meno cortese. Inutile scandalizzarsi con frasi di circostanza ciclostilate: questa è la realtà. Iniziamo a pensare come cambiarla invece di demonizzarla.

Ora, tutti chiedono il taglio delle Province ma poi si scopre che, in realtà, è la Regione (con spesse da 209 miliardi, in media, in Italia: dato 2001-2008) ad essere troppo distante da quella sussidiarietà veramente utile al cittadino. Chiedono sforzi immani ai Comuni e in Parlamento (molti) non sanno neppure cosa voglia dire fare benzina, fare la spesa, mantenere una famiglia. Lo dicono le cronache di tutti i giorni: il lavoro non c’è più e, se non si farà realmente qualcosa, non cambierà nulla per anni. Anzi.

Un segnale, un gesto simbolico ma distensivo, potrebbe essere quello di investire la tranche dei rimborsi elettorali in opere concrete, tangibili, che si possono toccare con mano: asili, scuole, strade, opere pubbliche, carceri, sicurezza e chi più ne ha più ne metta.

Perché, guardiamoci intorno e capiamo veramente dove siamo finiti: furti e rapine si moltiplicano (anche per poche migliaia d’euro), padri di famiglia vedono nel suicidio l’unica soluzione, per strada ci sono sempre più persone che fanno l’elemosina e quel palo, quel totem così carico di annunci che puzzano a un chilometro di distanza, resta l’unica illusione. Buon Primo Maggio.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>