Pasqualon, la filosofia dell’impiegato

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11 aprile 2012

a cura di Stefano Giampaoli

PESARO – Oggi, per la rubrica “La nostra storia attraverso Pasqualon”, sintetizziamo in lingua una poesia del Poeta dal titolo “La filosofia dell’impiegato”. Il tema trattato, di estrema attualità, è: il malaffare nella pubblica amministrazione.

Statua Pasqualon

La statua di Pasqualon in piazzale Matteotti

Odoardo Giansanti racconta di un fatto accaduto ad un impiegato; è la classica storia del “ladro di mele” che finisce in manette. Mè a v’ dirò dun galantom La su gran filosofia (Vi dirò di un galantuomo La sua grande filosofia). L’impiegato in questione, pur stimato, aveva una paga che non bastava a mantenere la famiglia. Era inverno e, nell’ufficio dell’impiegato presso il San Benedetto (manicomio), le stufe a legna erano incandescenti. Il contrario di quello che accadeva a casa sua dove, quando rientrava dal lavoro, trovava moglie e figli tutti tremanti dal freddo. L’indomani di un giorno di lunga riflessione, all’improvviso, mette due pezzi di legna sotto al cappotto e li porta a casa. La moglie, meravigliata: “Tu mi porti un gran tesoro” e lui, dandosi tono: “Se sapesti, cocca mia! Qui ci vol filosofia”. Di rimando, lei: “Oh, son pronta, in quanto a questo!” Così, il marito fece provvista anche i giorni successivi. Mo st’ martuff prò en s’ n’acorgeva Che sta legna ch’el toleva Dal capot la sfeva veda Giò dapid più d’ quatre deda (Ma questa persona poco affidabile però non si accorgeva Che la legna che prendeva Dal cappotto si faceva vedere Giù in fondo più di quattro dita). L’impiegato la passa liscia fino a quando non si imbatte proprio nel Direttore del manicomio che gli fa la morale: “Tale mostra è forse degna D’un signor di qualità?”. Dopo questo episodio, detto impiegato non verrà più incontrato dal nostro Odoardo che, nel manicomio, era ricoverato. Pasqualon vuole però distinguere le specie di ladri. Ci sono quelli che rubano per necessità e tanti altri che lo fanno per i superfluo, rimanendo impuniti. C’è prò tanti pur chi possa, Senza andè in tla legna grossa I s’ contenta sol d’ cle foi Ch’ le s’arpon ‘n ti portafoi, Mo le ‘n s’ trova dapartutt Cum la legna: quel è brutt! (Ci sono però tanti che potendo, Senza andare nella legna grossa Si accontentano solo di quelle foglie Che si ripongono nel portafogli, Ma non si trovano dappertutto Come la legna: quello è brutto!). Con sottile ironia il Poeta sostiene che, per questo ultimo tipo di furti, non c’è bisogno nemmeno del cappotto per nasconderle e si diventa dotti, riveriti e rispettati.

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